Si è da poco conclusa a Vancouver in Canada la trentesima sessione annuale dell’assemblea parlamentare dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che ha visto la partecipazione di 11 dei 13 parlamentari italiani in assemblea. L’OSCE è composta da 57 stati, dal Canada, gli Stati Uniti, l’intera “Europa geografica” fino alla Russia e gli stati dell’Asia centrale, con ulteriori 11 stati africani e asiatici come partner stabili per la cooperazione. A ragione di questa distribuzione l’Ucraina è al centro di questo complesso organismo e si capisce come la sua invasione da parte della Russia costituisca un enorme vulnus.

Dal 24 febbraio 2022 nell’OSCE la domanda che aleggia è: abbiamo fallito?
Vancouver ha rappresentato il primo vero tentativo di reagire, individuare i motivi di un fallimento, le rinnovate ragioni di un impegno che va rafforzato, le nuove direzioni da intraprendere. Merita di essere raccontata per successi e le incognite dopo il rinnovo di tutti gli organismi e un dibattito che ha mostrato alcune difficoltà come l’espulsione o sospensione della Russia dall’organizzazione, la questione Armena in Azerbaijan con il processo di pacificazione in corso nel Nagorno-Karabakh e la delicata situazione nel corridoio di Laçin, le tensioni mai spente nei Balcani.

Applaudite in apertura le parole del parlamentare ucraino Mykyta Poturaiev, che dopo aver elencato i crimini commessi dalla Russia in Ucraina ha ricordato che questo è un attacco a tutte le democrazie e che la comunità internazionale non tollererà mai l’occupazione con la forza di un libero Stato. L’assemblea non ha approvato la sua richiesta di espellere la Russia dall’OSCE che rimane quindi membro effettivo. L’assemblea ha deciso che non vi sarà espulsione di un membro che violi le norme, ma sospensione, scegliendo di lasciare aperta la possibilità del dialogo.

All’intervento azero seguirà inesorabile quello armeno, e viceversa, come alle proteste per il divieto di partecipazione di due parlamentari come osservatori alle elezioni turche. Segue la replica già conosciuta attraverso quel governo circa la loro presunta vicinanza a organizzazioni terroristiche. Ma in questo l’OSCE ha dalla sua una struttura funzionale allo scopo, con il consiglio permanente che conta i delegati di ciascuno Stato e il consiglio dei ministri che può assumere decisioni di livello governativo. Dal punto di vista del softpower apprezzo lo stile impresso all’Assemblea Parlamentare dal suo Segretario Generale, l’italiano Roberto Montella, che incoraggia i momenti di dialogo anche informali tra parlamentari. L’assemblea parlamentare dell’OSCE deve saper rendere autentico e profondo il proprio dialogo, pena divenire la replica sbiadita di quanto i governi sono già capaci o incapaci di affrontare. Vi è poi la questione di come rendere effettive queste decisioni che producono documenti di livello ma che rischiano di essere mortificanti. Questa è l’opportunità che l’assemblea parlamentare sembra aver colto, almeno a giudicare dal confronto tra i candidati alla presidenza e dai loro programmi.

Se la sono giocata con un sorteggio per accedere al ballottaggio dopo essere arrivati secondi a pari merito al primo turno i candidati Pere Joan Pons (SpagnaSocialisti) e Pia Kauma (Finlandia-Popolari) entrambi amanti dell’Italia e portatori di un pensiero per il futuro che passa per la parola “Cambiamento”. Al ballottaggio con l’inglese Mark Pritchard, conservatore, ha vinto largamente la Finlandese Pia Kauma. Si è sciolta così, con la loro elezione e le speranze di cambiamento affidate a Pia Kauma, che nel suo speech di ringraziamento ha ricordato come la Finlandia abbia un confine con la Russia di oltre 1.300 km, quasi ad anticipare che il suo mandato non sposterà il focus da quella zona. Il prossimo appuntamento sarà in autunno a Erevan, in Armenia, dove speriamo nel frattempo i due Presidenti abbiano potuto siglare un accordo di pace giusto e duraturo.

Nel frattempo continuano sul terreno le operazioni a tutela delle minoranze nazionali e i presìdi di coesione che sono stati pensati a tutela della pace: sono sempre più le tensioni interne, il mancato rispetto delle minoranze e la loro mancata integrazione a sfociare poi in terrorismo e guerre. Fuori programma, al termine dei lavori di una delle 5 giornate a Vancouver, la delegazione Ucraina si trattiene per raccontare la sua economia con infrastrutture distrutte, capitali in fuga e futuro incerto. “Vedi – mi rispondono – un amico che possiede moltissimi terreni ed aziende agricole in territori liberati è tornato con i suoi uomini per coltivarli. È salito lui stesso sul trattore per dare l’esempio e già alla prima giornata è saltato su una mina. È stato portato gravissimo in un ospedale all’estero e appena ha potuto parlare ha chiamato i suoi lavoratori per dirgli ‘ragazzi, tra poco esco e torno lì a lavorare i campi con voi’. Così la nostra economia rimane forte”. A Pia Kauma gli auguri per questo mandato da Presidente di un’assemblea parlamentare che può ancora dare tanto alla pace.

Mauro Del Barba

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