L'editoriale
Attaccare Silvia Romano è da bulli: lei creda in quello che vuole, noi nella libertà
Prendersela con Silvia Romano, oltre che facile, è da bulli, non da forti. Per noi che apparteniamo ad una democrazia laica e liberale non dovrebbe contare ciò in cui crede Silvia, ma ciò in cui crediamo noi: a partire dalla libertà e dai diritti intangibili dell’individuo tanto faticosamente conquistati. A nessuno di noi ha fatto piacere apprendere che Silvia Romano, in quei lunghi mesi di prigionia in Somalia, si era trasformata in Aisha, che aveva cambiato religione. Quello che non capisco è che fine abbiano fatto l’umanità e l’empatia per una ragazza che fino ad una dozzina di giorni fa era prigioniera di sanguinari estremisti islamici.
Certo, può non piacerci la veste verde che Silvia indossava al suo rientro, ma quella veste – oltre a rappresentare un grave errore di comunicazione del nostro governo e una vittoria di immagine per i terroristi che la tenevano in ostaggio – rappresenta soprattutto la differenza di fondo tra noi e loro. Da noi quella veste verde è una libera facoltà. Da loro quella veste verde è una vigliacca imposizione maschile sull’integrità femminile. Non si difende l’identità di una grande nazione democratica prendendosela con chi ha scelto una religione diversa da quella della maggioranza. Si difende l’identità di una nazione tutelando tutti i suoi cittadini a prescindere dal genere, dalla razza, dalla religione, dalle opinioni. Abbiamo riportato a casa una cittadina italiana, e questo è ciò che conta. Se Silvia deciderà di mantenere la sua nuova fede o meno sarà un fatto che riguarda lei, non noi. Se davvero abbiamo pagato quattro o più milioni di euro per liberarla, certo non li abbiamo pagati per costringere Silvia a credere a ciò in cui crediamo noi. Questo è quello che hanno fatto i terroristi: l’hanno rapita, indottrinata, convertita e poi venduta. Sì, venduta. Perché a loro non frega niente se credi o non credi in Allah.
A loro frega solo dei soldi e del potere che tutto questo può dargli. Se alcuni elementi del centrodestra avessero voluto strumentalizzare la vicenda di Silvia Romano per guadagnare cinicamente un po’ di consenso nell’opinione pubblica, sarebbe bastato criticare l’errore di immagine commesso dal governo, mostrandosi però solidali con la giovane vittima di una lunga prigionia. Invece alcuni, dando il cattivo esempio, hanno deciso di puntare il dito contro Silvia, quando alla fine Silvia è stata solo ostaggio di dinamiche più grandi di quelle che una persona può portare su di sé.
Lasciamo a lei e ai suoi familiari il tempo e il diritto di riprendersi in santa pace. Poi, quando sarà pronta, potremo confrontarci su tutti i temi che vorremo. Se “Prima gli italiani” non è solo uno slogan, allora dobbiamo avere rispetto per la vicenda umana di Silvia. Quello che non va fatto è far sentire Silvia prigioniera di un pensiero unico che più che accettarla per quella che è, vuole imporle un certo dover essere. Come se quei quattro milioni di euro ci dessero il diritto di disporre della sua anima. Questo imporre un credo, una fede, un modo di vivere, un’idea, questo voler disporre delle anime delle persone e farne cosa propria è quello che fanno i terroristi, non chi appartiene saldamente ad una destra democratica.
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