Le rivelazioni di funzionari di più intelligence
Gli attacchi del 7 ottobre, i piani e gli orrori di Hamas: “Arrivare in Cisgiordania, aperta pancia a donna incinta”

Volevano spingersi oltre i primi kibbutz presenti lungo il confine con la Striscia di Gaza, arrivare fino alla Cisgiordania dove c’erano miliziani alleati e dove l’obiettivo era quello di coinvolgere nel conflitto anche l’Autorità Palestinese. Volevano allargare le tensioni in più zone del Medio Oriente così da annullare gli sforzi di normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi. Volevano provocare la feroce reazione dello Stato ebraico così da far dimenticare subito gli orrori commessi il 7 ottobre scorso, spostando l’attenzione sulla strage di civili in corso a Gaza e sulle responsabilità dell’Idf e dello Shin Bet, i servizi di intelligence interni. Hamas progettava da tempo l’attacco, ha studiato tutto nei minimi dettagli, raccogliendo informazioni importanti sui villaggi israeliani grazie all’utilizzo di droni ma anche attraverso il monitoraggio dei siti immobiliari israeliani, post sui social media che ritraggono la vita all’interno dei kibbutz, e la disposizione di edifici e case, e ad alcune testimonianze raccolte, e forse estorte, dagli operai presenti nella Striscia che ogni giorno varcavano il confine e andavano a lavorare nel territorio israeliano.
A cinque settimane dall’inizio della guerra a Gaza, una inchiesta del Washington Post, grazie anche alle testimonianze di più di una dozzina di funzionari di intelligence di quattro paesi occidentali e mediorientali, sostiene che l’intenzione di Hamas il 7 ottobre scorso non era solo uccidere e catturare il maggior numero di israeliani ma innescare un conflitto che sarebbe divampato in tutta la regione. Secondo gli analisti, le prove trovate dopo gli attacchi – mappe dettagliate, scorte di cibo per diversi giorni, munizioni ed esplosivi in grandi quantità – rivelano l’intenzione dei terroristi di sferrare un colpo di proporzioni storiche e scatenare una reazione israeliana senza precedenti. E anche di andare avanti per giorni e giorni.
Attacchi 7 ottobre, la mission di Hamas: “Uccidi quante più persone e prendi quanti più ostaggi possibile”
Nel kibbutz di Beeri un combattente morto aveva un taccuino con versetti coranici scritti a mano e ordini che recitavano semplicemente: “Uccidi quante più persone e prendi quanti più ostaggi possibile”. Altri erano equipaggiati con bombole di gas, manette e granate termobariche progettate per trasformare istantaneamente le case in un inferno e costringere gli abitanti ad uscire in strada. Dopo aver superato il confine israeliano in circa 30 punti, i militanti di Hamas hanno inscenato un massacro di massa di soldati e civili in almeno 22 villaggi, città e avamposti militari israeliani, attirando poi i militari israeliani in scontri a fuoco che sono proseguiti per più di un giorno.
Secondo quanto rivelano al WP dopo aver visionato alcune prove, due funzionari dell’intelligence mediorientale e un ex funzionario americano sostengono che l’obiettivo dei miliziani era quello di arrivare in Cisgiordania. Un’unità di Hamas portava con sé informazioni di ricognizione e mappe che suggerivano l’intenzione di continuare l’assalto fino al confine con la Cisgiordania anche perché negli ultimi mesi Hamas ha aumentato il suo avvicinamento ai militanti della Cisgiordania. Anche se i piani del 7 ottobre erano a conoscenza solo di Hamas. L’obiettivo era quello di sferrare un colpo anche all’Autorità Palestinese con cui il gruppo terroristico è in combutta da anni.
Un piano militare che prevedeva e accettava un numero alto di perdite sul campo, a partire dai civili. “Dovremo pagare un prezzo? Sì, e siamo pronti a pagarlo”, ha dichiarato Ghazi Hamad, membro del politburo di Hamas, alla televisione LCBI di Beirut in un’intervista andata in onda il 24 ottobre. “Siamo chiamati nazione di martiri e siamo orgogliosi di sacrificare martiri” ha spiegato, aggiungendo che ci saranno in futuro altri “due, tre, quattro attacchi”.
Attacchi 7 ottobre, la pianificazione segreta di Hamas e le finzioni con Israele
L’attacco del 7 ottobre, come detto, era stato pianificato da almeno un anno con i miliziani di Hamas bravi a camuffare tutto e a fingersi intenzionati a sviluppare il territorio della Striscia, che governano da anni e a stabilire una sorta di patto di buon vicinato con Israele. Certo, ogni tanto i vertici del gruppo terroristico ribadivano la linea storica, ovvero quella di distruggere Israele, ma in più di una circostanza Hamas ha evitato di entrare in tensioni provocate dalla Jihad islamica palestinese. Anzi in qualche occasione ha finto di collaborare con l’Idf, fornendo anche delle informazioni sul gruppo alleato.
Il piano del 7 ottobre sarebbe stato addirittura tenuto nascosto alla leadership politica di Hamas stesso e ai principali finanziatori: il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran e il gruppo militante libanese Hezbollah. Nel frattempo portava avanti esercitazioni con fucili Kalašnikov AK-47 importati, pistole, lanciagranate a propulsione di razzi e proiettili termobarici che generano potenti onde di pressione e fuochi intensi con temperature superiori a 2.700 gradi Fahrenheit.
Per anni Hamas ha raccolto informazioni sui villaggi israeliani. Ali Soufan, ex funzionario dell’antiterrorismo dell’FBI e fondatore del Soufan Group, una società privata di consulenza sulla sicurezza di New York che lavora a stretto contatto con i governi del Medio Oriente, ha spiegato: “Se sei in prigione, studi il sistema di sicurezza della prigione. Questo è ciò che Hamas ha fatto per 16 anni.La loro intelligence sul campo era di gran lunga migliore di qualsiasi cosa gli iraniani avrebbero potuto fornirgli”.
Il ruolo di Yehiya Sinwar, decenni in carcere in Israele e mente militare di Hamas
Un ruolo chiave negli attacchi del 7 ottobre l’ha avuto Yehiya Sinwar, leader militare di Hamas, detenuto per quasi 20 anni nelle carceri israeliane, Sinwar parla correntemente l’ebraico e ha a lungo studiato la cultura politica e dei media israeliani. Protagonista insieme ad altri funzionari di Hamas di lanciare un messaggio distensivo ai vicini israeliani, ingannandoli anche nelle attività di intercettazioni: sapevano di essere ascoltati e raccontavano ciò che Israele “voleva sentirsi dire” salvo poi utilizzare altri canali e i tunnel sotterranei per pianificare addestramenti e operazioni militari in vista del 7 ottobre. “Hamas non vuole più guerre” era il messaggio fatto circolare più volte negli ultimi anni, aggiungendo che l’obiettivo principale era quello di costruire infrastrutture nell’enclave e migliorare la situazione economica dei due milioni di residenti a Gaza, grazie anche ai fondi stanziati sia dall’Unione Europea che da altri Paesi internazionali, a partire dal Qatar.Fondi che hanno contribuito a decine di nuovi progetti, da scuole e strutture sportive per i giovani a strade e impianti di trattamento delle acque reflue.
Una stagione riformista che ha ingannato in pieno Israele, occupato in una politica interna tutt’altro che tranquilla, minata dalle proteste in piazza contro la riforma giudiziaria auspicata dal governo di estrema destra guidato sempre da Benjamin Netanyahu. Le forze armate israeliane percepivano una minaccia molto più grave per la sicurezza, rappresentata da Hezbollah nel nord , al confine con il Libano, e da gruppi palestinesi violenti impegnati in un’escalation di scontri con soldati israeliani e coloni armati in Cisgiordania.
L’orrore del 7 ottobre: torture, civili giustiziati e ostaggi portati a Gaza
Il 7 ottobre l’attacco considerato oggi il più letale e brutale della storia di Israele, con oltre 22 kibbutz bruciati, oltre 1200 civili uccisi e almeno 240 ostaggi. Il Washington Post spiega che alcuni degli attacchi più brutali sono avvenuti nel kibbutz di Beeri dove i miliziani di Hamas avrebbero aperto la pancia di una donna incinta, trascinando il suo feto a terra. In altre città, i sopravvissuti hanno raccontato di genitori uccisi davanti ai loro figli e di bambini uccisi davanti ai loro genitori. Altri sopravvissuti hanno descritto di aver assistito ad aggressioni sessuali, compreso lo stupro.
Circa 1.500 miliziani di Hamas sono stati uccisi dagli israeliani e i loro corpi, i telefoni e le armi sono stati sfruttati come fonte di informazioni. Ulteriori informazioni sono state fornite da una manciata di uomini catturati vivi e interrogati. Altri terroristi sono tornati a Gaza con gli ostaggi. Tra le informazioni raccolte dall’Idf grazie allo studio delle tracce lasciata da Hamas, è emerso che i miliziani avevano elenchi dettagliati di armi e munizioni israeliane da trovare e saccheggiare ad Alumim, un kibbutz che i militanti non sono riusciti a penetrare, indicato nei documenti come “Missione 502”.
“Le dichiarazioni di Hamas, che si augura un conflitto più ampio, evocano le dichiarazioni dei leader di Al-Qaeda all’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001” ha osservato Rita Katz, direttore esecutivo del SITE Intelligence Group, un’organizzazione privata che studia l’ideologia e le comunicazioni online dei gruppi estremisti. “Hamas sapeva che Israele avrebbe risposto duramente. Questo era il punto”, ha detto Katz. “Per Hamas, la sofferenza dei palestinesi è una componente fondamentale per creare l’instabilità e l’indignazione globale che cerca di sfruttare”. Anche se la sua attuale leadership sarà effettivamente distrutta, Hamas e i suoi seguaci continueranno a considerare il 7 ottobre come una vittoria. “È la prima volta che ricordo che Hamas è diventato così importante su scala globale”, ha detto Katz. “Molte persone hanno già dimenticato il 7 ottobre perché Hamas ha immediatamente cambiato la discussione. Ha messo l’attenzione su Israele, non su di sé. Ed è esattamente quello che volevano”.
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