Due pesi e due misura
Attacchi alla magistratura: se parla Crosetto è il finimondo, se lo fa Di Matteo tutti zitti
Quando si affronta il tema delle correnti della magistratura scattano inevitabilmente i “distinguo”: dipende sempre da chi parla.
L’ultimo in ordine di tempo ad essere rimasto travolto dalle polemiche è stato, come si ricorderà, il ministro della Difesa Guido Crosetto.
Il fondatore, insieme alla premier, di Fratelli d’Italia, alla fine del mese scorso in una intervista al Corriere della Sera, a proposito di rapporti fra magistrati e politici, aveva raccontato di aver saputo di riunioni di una corrente non meglio specificata della magistratura in cui si sarebbe parlato di come fare a “fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”.
Immediatamente, come detto, si era scatenata la polemica politica con la richiesta a Crosetto da parte delle opposizioni, Pd in testa, di riferire quanto prima in aula o di formalizzare la sua denuncia.
E lo scorso 6 dicembre, a sorpresa, Crosetto era stato addirittura convocato in Procura a Roma per essere interrogato dal procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi proprio in merito a quella intervista. Crosetto, per la cronaca, aveva comunque chiarito il senso del suo intervento sull’opposizione giudiziaria nell’intervista al Corriere della Sera. “Era una battuta, un modo di dire riferito al destino che hanno avuto i governi di centrodestra negli ultimi 20 anni”, aveva precisato Crosetto. La frase in questione “era riferita solo a quello”, al fatto che “sembra che ci sia più l’organizzazione di una opposizione da parte di chi ha invece altri compiti”, aveva aggiunto, sottolineando che “non stiamo parlando della magistratura ma di alcuni esponenti della magistratura”, “piuttosto che una opposizione che, mi pare evidente, non rappresenta in questo momento un pericolo particolare per il governo. I governi reggono fin quando non esiste un’alternativa politica, alternativa politica fin qui non ne hanno messe in piedi, dunque la vita del governo resta, da questo punto di vista, abbastanza tranquilla”.
Stesso trattamento, invece, non è stato riservato al magistrato antimafia Nino Di Matteo, idolo dei grillini e di Marco Travaglio, che per mesi e mesi aveva accusato il Consiglio superiore della magistratura, organo di rilevanza costituzionale presieduto dal capo dello Stato, di usare “metodi mafiosi” nella gestione delle nomine delle toghe.
A novembre 2021, il filmato è reperibile in rete, in un’intervista al compianto Andrea Purgatori su La7 Di Matteo aveva affermato che “soprattutto negli ultimi anni, si siano formate anche al di fuori o trasversalmente alle correnti, delle cordate attorno a un procuratore o a un magistrato particolarmente autorevole, composte da ufficiali di polizia giudiziaria e da esponenti estranei alla magistratura che pretendono, come fanno le correnti, di condizionare l’attività del Csm e dell’intera magistratura”.
“Con l’appartenenza alle cordate vieni tutelato nei momenti di difficoltà, la tua attività viene promossa, vieni sostenuto anche nelle tue ambizioni di carriera e l’avversario diventa un corpo estraneo da marginalizzare, da contenere, se possibile da danneggiare… La logica dell’appartenenza è molto simile alle logiche mafiose, è il metodo mafioso che ha inquinato i poteri, non solo la magistratura”, aveva aggiunto Di Matteo, equiparando dunque l’attività dell’organo di autogoverno delle toghe a quella di una cosca.
Le considerazioni di Di Matteo erano poi finite nel suo ultimo libro “I nemici della giustizia”.
Si tratta, indubbiamente, di affermazioni molto più gravi e, come si dice in questi casi, molto più ‘circostanziate’, provenendo da un magistrato con oltre trent’anni di esperienza, che è stato in servizio alla Procura di Caltanissetta, poi a quella di Palermo e successivamente alla Direzione nazionale antimafia e che, a causa del suo impegno, vive sotto scorta, utilizzando per gli spostamenti un blindato.
Di Matteo, ironia della sorte, nel 2019 è stato poi eletto proprio al Csm, il luogo dove quelle consorterie costituite da magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria e da altri “esponenti” operano “con metodo mafioso” che ha ormai “inquinato i poteri, non solo la magistratura”.
È di tutta evidenza che affermare l’esistenza di una magistratura divisa in “cordate”, “inquinata” e che operi con “metodo mafioso” per “condizionare l’attività del Csm e dell’intera magistratura”, presieduto dal presidente della Repubblica, sia una accusa molto più grave di quella espressa da Crosetto che forse si era lasciato prendere la mano.
Peccato, però, che il magistrato antimafia siciliano e che i grillini avrebbero voluto a via Arenula, in questi anni non sia mai stato convocato da nessun procuratore per i dovuti chiarimenti.
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