È veramente difficile comprendere se il presidente Vladimir Putin e il suo inner circle di fedeli oligarchi ha davvero deciso di portare la pace ai suoi limiti e forse di varcarli. La questione è quella della strage jihadista di venerdì scorso per la quale immediatamente Putin e i suoi uomini si sono detti sicuri che dietro i terroristi ci fosse la perfida mano degli ucraini e, per buona dose, il governo americano. Proprio gli americani avevano dato l’allerta al Cremlino informando il governo russo di un possibile atto terroristico a Mosca, assicurando che le loro informazioni erano attendibili e che gli ucraini non c’entravano nulla.

Lunedì, Putin sembrava convinto dal materiale d’inchiesta propagato dalla stessa Isis-K in cui si vedono gli attentatori compiere le loro azioni nella stessa modalità usata a Parigi al teatro Bataclan. Ma ieri mattina aveva di nuovo cambiato idea perché il direttore dell’FSB, che è l’agenzia di spionaggio derivata dal KGB di cui lo stesso Putin è stato tenente colonnello, avrebbe detto che l’attentato sarebbe stato “facilitato” dai servizi di spionaggio occidentale. Putin ha fatto una dichiarazione in pompa magna, seduto fra gli ori e gli stucchi di un salone che non era il suo consueto studio. Ed ha detto cose estremamente pericolose perché sembra non suffragate da una sola prova, ma anzi ne sono smentite, e fondate soltanto sul sospetto che dietro l’attentato di Mosca che ha ucciso 139 persone non possono che esserci gli occidentali. Alexander Bortnikov, direttore della FSB ha scritto che l’attentato “è stato preparato insieme da radicali islamisti è facilitato dei servizi segreti occidentali”. La cosa ha irritato prima di tutto lo stato islamico che rivendica la responsabilità della strage e di cui 8 persone sono state arrestate per l’attentato.

Secondo l’agenzia di stato Tass il capo del controspionaggio russo Bortnikov, quando gli hanno chiesto se a suo parere Stati Uniti, Gran Bretagna ed Ucraina fossero coinvolti nell’attentato, ha risposto “sembra proprio di sì”. Quando gli hanno chiesto di fornire delle prove ma non le ho date dicendo che esistevano solo delle informazioni preliminari. Ciò che fa veramente impressione è che sembra non ci sia verso di far recedere il Cremlino da una narrazione non solo frettolosa ma che implica per la sua gravità delle conseguenze catastrofiche. Sia Vladimir Putin che Medvedev hanno ripetuto più volte che chi è responsabile dell’attentato di Mosca pagherà con la vita il suo delitto. Gli ucraini naturalmente negano, ma hanno anche paura vedendo crescere una terribile trappola. Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino, ha definito ridicola la ricostruzione russa secondo cui gli ucraini avrebbero addestrato gli islamisti in una località impervia nel Medio Oriente. Lunedì sera a tre giorni dal massacro Vladimir Putin aveva dichiarato di essere consapevole del fatto che i radicali islamisti erano i colpevoli, ma al tempo stesso insisteva, senza fornire alcuna indicazione precisa, nel dire che gli ucraini in qualche modo dovevano avere avuto un ruolo.

Secondo gli analisti il Cremlino, e forse lo stesso Putin, in questo momento si trovano in uno stato di tremendo imbarazzo perché devono riuscire a spiegare come mai pur avendo avuto notizie definite attendibili il sistema delle difese interne degli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali abbia totalmente fallito, lasciando 140 cittadini alla mercè di quattro assassini armati di mitragliatore. Ieri si è assistito ad una ulteriore escalation della versione che vuole gli ucraini comunque sotto accusa, nella totale e assoluta mancanza di qualsiasi indizio. Una Corte distrettuale di Mosca ha seguito a procedere contro il sospetto Alisher Kasimov, che avrebbe ospitato i terroristi per una notte. Si seguono tutte le tracce della Renault bianca guidata da uno dei sospetti terroristi. A giudicare dalla stampa russa c’è molta fretta perché l’inchiesta criminale sia conclusa, ma nulla di quel che viene divulgato va a favore della strampalata tesi di una partecipazione ucraina al massacro. Tuttavia, ed è questo ciò che non torna, Vladimir Putin insiste: “Anche se sono certamente estremisti radicali gli autori del massacro, è sicuro che ci siano di mezzo anche gli ucraini e gli occidentali”. E poi: “Vogliamo sapere chi è che ha ordinato l’attentato e punirlo”.

Finora l’unico elemento usato per tenere in piedi la longa manus dell’Ucraina dietro agli islamisti è la regione di Bryansk dove sono stati arrestati gli attentatori e che non è lontano dalla frontiera Ucraina. È un fatto, dunque, che il presidente Putin ogni giorno, e talvolta anche due volte al giorno, ripeta che pur non essendo in dubbio la manovalanza islamica, “la finestra attraverso cui è passata sia stata preparata per loro dagli ucraini”.
Ci si trova quindi di fronte ad un enigma: per quale motivo concreto il presidente Putin, senza avere – come lui stesso ha ammesso – alcun indizio di una responsabilità degli ucraini e addirittura dell’Occidente con gli Stati Uniti in testa, nel programmare la strage, insiste nell’accusare gli ucraini e gli Stati Uniti.
Va ricordato che Putin subito dopo avere lanciato le sue prime accuse ha ordinato un feroce bombardamento su Kiev e Odessa. E ha ripetuto che per gli autori e gli ispiratori dall’infame delitto pagheranno con la loro vita. Il presidente Putin nelle sue ultime dichiarazioni è apparso meno netto e brillante del solito, cosa che rinvigorito la tesi secondo cui la sottovalutazione delle informazioni americane prima della strage avrebbe aperto una crisi all’interno del Cremlino nel patto sociale e di potere che Putin ha stilato con il popolo russo: lasciate a me la politica e io vi garantirò benessere e sicurezza. Quel che è accaduto secondo il blog indipendenti che ancora esistono, rimette in discussione la capacità del presidente di garantire specialmente adesso alla società moscovita una vita di benessere senza violenza. Il disastro di una strage annunciata e non impedita potrebbe aver incrinato un intero sistema di potere.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.