Quando la politica parla, in assenza di idee, si ricorda dei giacimenti culturali dell’Italia. Ma, subito dopo, il discorso finisce lì escludendo qualsiasi proposta, non avendo a disposizione né un piano, né un programma ma nemmeno un’idea di cosa significhi l’enorme patrimonio territoriale, ambientale, urbanistico, archeologico, museale, culturale ed economico che l’Italia, unico paese al mondo, possiede con somma invidia di molti altri Stati. Troppo spesso siamo costretti a constatare come buona parte di questa ricchezza, affidata allo Stato e ai Comuni, non solo è trascurata ma talvolta è abbandonata al vandalismo e trasformata in discarica.

Non a tutti è noto che nello specifico museale e archeologico, il giacimento più grande è depositato nei magazzini. Talvolta addirittura all’aperto, spesso sotto tettoie precarie, dove alla rinfusa sono presenti antichi pezzi di statue, anfore, colonne, parti di trabeazioni, capitelli, pezzi di mosaici. In generale i grandi musei espongono poco più del 5 per cento delle loro collezioni: tante opere d’arte sono raccolte in depositi polverosi, spesso non catalogate, invece di arricchire musei più piccoli o essere dietro compenso ceduti. Da tempo gli storici dell’arte e gli archeologi si battono per convertire queste risorse in qualcosa di veramente fruibile, per offrire una rinnovata vita al sito o al museo ove sono custoditi.

In questi giorni, nello stanco susseguirsi di spot di inutile propaganda dei concorrenti alla carica di sindaco di Roma, scegliendo un tema fondamentale per la città, si è presentato Carlo Calenda con delle interessanti proposte sulla musealità, proponendo di fatto l’unificazione di tutti i principali musei anche archeologici di Roma in un unico grande “polo”, naturalmente, tutto da ripensare nelle sue complesse articolazioni e funzioni. A seguito della stimolante idea che con coraggio si distacca dalla scontata campagna elettorale dei concorrenti, affrontando finalmente la domanda riguardante il patrimonio artistico e culturale romano, non si sono fatte attendere ovviamente critiche provenienti in buona parte dal contrasto ideologico e burocratico, accanito conservatore dello status quo.

La tenace reazione ha tentato di svilire le potenzialità dello spunto di Calenda che invece apre un deciso varco nella grande questione riguardante il ruolo culturale complessivo della musealità. Vari figuranti si sono alternati nella critica respingendo duramente l’idea: taluni difendendo addirittura la “giusta” presenza degli uffici comunali nei palazzi capitolini (!). Dove, ordinarie funzioni amministrative, insieme agli impiegati -non solo al diretto servizio dell’ufficio del sindaco- si mescolano anche i disorientati cittadini che si rivolgono all’assonnata burocrazia romana (quando presente). Luoghi storici dove si trovano polverosi uffici della tesoreria, dei pignoramenti, della cassa riscossione entrate che occupano spazi e mura antichissime che dovrebbero trovare ben altra funzione più degna del sacro luogo della romanità. In realtà dietro la proposta di Calenda si scorgono enormi potenzialità che riguardano la necessaria ridefinizione di cosa debba essere la “musealità” nel terzo millennio: le sue funzioni, il suo ruolo e le tante connessioni che rimandano alla custodia delle opere, alla catalogazione aggiornata, all’esposizione, al rapporto col territorio e le diverse connessioni collegate allo sviluppo culturale ed economico, alla promozione ed alla fruizione della conoscenza.

Il ruolo della città e delle sue risorse artistiche, archeologiche e museali deve essere comunque ripensato cominciando da una profonda revisione delle principali funzioni urbanistiche e di nuove destinazioni d’uso delle preesistenze architettoniche (caserme dismesse, carceri, magazzini, vecchi impianti industriali, ecc.), allontanando quanto più possibile il vetero terziario burocratico/amministrativo per recuperare spazi e attribuzioni locali più utili alla fruizione del patrimonio artistico e culturale della città. In effetti la costruzione di reti funzionali e nuove connessioni specializzate materiali e immateriali a ciò destinate non può prescindere da innovativi servizi (nodali e intermodali) per la mobilità dedicati al turismo e al collegamento tra diversi siti di interesse culturale, connessi alla realtà ricettiva e non solo. Creare nuovi spazi, aprire nuove gallerie e centri culturali interattivi portando alla luce l’enorme patrimonio nascosto nei magazzini e mai visto. In tal senso occorre promuovere una vasta riflessione multi professionale sul futuro del sistema museale (dico “sistema”), per la formazione e per la creazione di nuove professionalità, rapportando la scuola al lavoro e alle università, con l’accoglienza e l’industria alberghiera in accordanza con le risorse museali.

Sostenere le specializzazioni multidisciplinari (restauro, storico artistico, archeologico, architettonico…), linee di comunicazione e massima efficienza di trasporto pubblico. Il tutto per reinventare il futuro della città, anche in chiave sincretistica, non dimenticando che il segreto di Roma, dall’epoca della sua fondazione nell’ottavo secolo a.C., è quello della sua capacità di trasformazione e adattamento, salvaguardando e reinterpretando sempre le tracce del passato. Il museo continuo quindi deve convertirsi in occasione dove la città del terzo millennio viene reinterpretata grazie ad una nuova concezione della musealità anche in base a quanto le tecnologie più avanzate oggi possono offrire. In tal modo si innescherebbe un processo di trasformazione sistemica della città, anche urbanistica, quale motore di sviluppo sostenibile a beneficio del sapere e della nuova grande macchina culturale per rilanciare Roma nel segno di una mai persa dignità della sua grande storia nei confronti delle altre metropoli internazionali. I grandi finanziamenti europei per lo sviluppo e la resilienza dovranno essere impiegati anche in tal senso, non rinunciando al confronto e alla concorrenza nelle comparazioni con i grandi competitori internazionali.

Diversamente dalle altre capitali europee, non è presente a Roma un grande museo che rappresenti l’enorme patrimonio storico artistico della città. Londra, Berlino, Parigi, Amsterdam, Stoccolma hanno saputo valorizzare al massimo la loro storia, mettendo a sistema le opere più importanti non rinunciando allo splendore della narrazione museale. Roma, purtroppo divisa tra eccessive competenze e burocrazia tra gestione pubblica e privata offre in modo frammentato e complesso l’offerta del suo patrimonio museale scoraggiando il visitatore con una offerta sciatta, burocratizzata poco attrattiva. Penso al museo come occasione culturale e distensiva dove partecipando del bello possano essere trascorse ore godendo della visione di opere d’arte, alternando l’ascolto di un quartetto e, magari, davanti a un sorbetto o leggendo un libro trovato nella biblioteca della galleria. Auguri Roma e viva la bellezza!