La chiesa si fa sentire! Si è pronunciata con accenni molto critici sull’autonomia differenziata, esprimendo forti preoccupazioni. Giù alcuni mesi fa, nel corso di un incontro organizzato in Campania dall’arcivescovo di Benevento Felice Accrocca, i vescovi presenti hanno proclamato: “L’autonomia differenziata può rischiare di separare ancora di più le zone interne, quelle aree più distanti geograficamente dai centri di servizi, di assistenza sanitaria e sociale. Per questo noi vescovi ci confrontiamo per una nuova Pastorale delle aree interne del Paese”. Era presente il Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e soprattutto presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Successivamente si sono aggiunti altri interventi, a partire da quello del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che ha ammonito: “L’autonomia deve coniugarsi con i diritti del malato e qualsiasi organizzazione deve mettere alla sua base questi principi altrimenti fallisce”.

L’allarme di Zupi e i vescovi sul piede di guerra

Il quotidiano della Cei, Avvenire, ha commentato l’approvazione dell’Autonomia differenziata nel primo ramo del Parlamento con: “Più autonomi o più soli?”. Il malumore si estende a macchia di leopardo e il cardinale Matteo Zuppi è costretto a lanciare l’allarme: i vescovi del Sud “sono sul piede di guerra”. Per comprendere fino in fondo il livello di scontro basta leggere le parole di fuoco dei vari rappresentanti delle diocesi del Sud, più esposte delle altre per evidenti ragioni territoriali. Monsignor Gianni Checchinato, arcivescovo di Cosenza, domanda: “Stanno dalla parte dei ricchi in maniera pregiudiziale?” per poi affondare il colpo con un’altra domanda: “Ma i cristiani presenti e votanti in Senato hanno dimenticato la Scrittura, i Padri della Chiesa?”. “Se dovesse passare questa legge, diventeremo ancora più poveri”, queste le parole del vice presidente della Cei, e vescovo di Cassano all’Ionio, Monsignor Francesco Savino. Sulla questione della sanità regionalizzata si sono fatti sentire anche i vescovi della Sicilia: “Non ci dovrebbe essere nessuna differenza nella cura tra un cittadino siciliano, uno veneto o uno lombardo”, preoccupati, poi, della “possibilità di aggiungere prestazioni che altre Regioni non saranno in grado di assicurare”.

La voce critica

Dalla Sardegna il Segretario Generale della Cei, l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, ricorda come, “la nascita su un territorio piuttosto che in un altro incide sulla possibilità di avere o meno accesso alle cure”. Ma è don Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, che più di altri fa ascoltare la sua voce critica, non fosse altro per il ruolo guida della diocesi della capitale del mezzogiorno. L’alto Prelato indica la strada e esorta la Chiesa a non restare ferma. Seguono giudizi netti e definitivi. Parla di ‘egoismi’, di un progetto perverso che ‘indebolisce il sud ‘ e che ‘allargherà la forbice della duale separatezza del territorio nazionale”. Don Mimmo che si sente un prete in quella Chiesa che deve uscire dalle sacrestie, fa un implicito appello alla mobilitazione e richiamandosi alla Costituzione – condizione non rituale per gli alti porporati – nega che l’Autonomia “sia un’esplicazione di quanto già contenuto nella Costituzione, come i suoi promotori sostengono”. Perché il termine “differenziata significa che l’autonomia non è uguale per tutte le Regioni, che essa, appunto, si differenzia tra quelle forti, che con l’autonomia diventeranno più forti, dalle regioni deboli, che paradossalmente diventeranno più deboli”. Un disegno separatista, conclude l’arcivescovo di Napoli che “avviene quando due debolezze si intrecciano pericolosamente, quella della politica e quella del Meridione”, mettendo a rischio i livelli minimi di assistenza.

“I Lep, quella parola che la povera gente neanche capisce, usata per coprire la furbizia dei potenti”. Su queste medesime posizioni critiche si riconosce l’intera opposizione parlamentare, anche se in passato la stessa sinistra al governo ha sostenuto convintamente questa riforma addirittura in forma più ‘differenziata’ dello stesso progetto Calderoli. Dall’altro parte del campo le forze della maggioranza parlamentare descrivono un ben altro scenario. Si difende il diritto alla piena attuazione di un precetto Costituzionale attraverso un disegno di cambiamento, moderno e competitivo. Una inversione di rotta in grado di superare anche quella che è stata, ad oggi, la vera sciagura per le popolazioni meridionali: il riparto delle risorse sulla cosiddetta “spesa storica”. Un meccanismo, questo, che ha per decenni penalizzato e sottofinanziato la sanità, l’istruzione, l’ambiente e la mobilità nelle Regioni meridionali. L’aumento progressivo e costante del divario territoriale è soprattutto causato dall’attuale modello di distribuzione delle risorse dovuto al fatto che non sono stati determinati i Lep e il loro livello di finanziamento.

L’Autonomia differenziata continua a scaldare gli animi

Dopo molti anni il progetto di riforma sull’Autonomia differenziata, voluto da questo governo, ha finalmente definito i livelli essenziali delle prestazioni per le varie materie, creando le condizioni, normative e finanziarie, per ridurre le diseguaglianze. Bisogna, con onestà, ricordare che, in questi lunghi decenni, nessuna delle voci critiche di questi mesi, compresa quella della Chiesa, ha avuto nel passato la stessa forza nel contrastare il vecchio sistema punitivo per il mezzogiorno. Un sistema che ha favorito le peggiori pratiche di assistenzialismo e clientelismo. L’Autonomia differenziata continua a scaldare gli animi e, come ha recentemente ricordato Sabino Cassese, presidente del comitato Lep, l’approccio a questa materia sia prevalentemente ideologico e che esso sia anche poco coerente con le posizioni prese in passato. È l’eterna disputa, tutta italiana, tra “guelfi e ghibellini”. Uno disputa manichea che impedisce una visione riformatrice e contrappone le posizioni, impedendo quel faticoso processo di confronto e miglioramento dei provvedimenti, anche mitigandone gli eccessi. “Il vero inizio del buon cambiamento si avrà quando tutti partiremo dal Sud. È uno sguardo culturale prima che politico”. Su questa frase dell’arcivescovo Battaglia forse e utile interrogarsi. Un modo per sollecitare tutti i decisori a partire prima dai bisogni e dalle diseguaglianze.

Stefano Caldoro

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