«Bisogna chiarire un po’ di concetti sull’autonomia differenziata. Non possiamo certo definire eversiva una riforma che è prevista dalla Costituzione, anche se è stata inserita in un secondo momento con la riforma del Titolo Quinto del 2001. Allo stesso tempo, però, autonomia differenziata ovviamente non vuol dire né Catalogna e neanche la possibilità di creare nuove regioni a statuto speciale. Non è possibile, è un sogno che le classi politiche non possono cullare, non è un traguardo raggiungibile».

Sono parole di Fulvio Cortese, professore di Istituzioni di diritto pubblico presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, studioso della materia. Accetta di parlare col Riformista del tema che è stato ed è cavallo di battaglia della Lega. E prova a fare chiarezza.

«Al di là delle diverse opinioni, legittime, non possiamo nascondere che l’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione. Quindi è difficile sostenere che sia qualcosa che non si possa fare e che in assoluto rappresenterebbe un momento di dissoluzione della Repubblica. Come sempre, il tema non è il se ma il come. Il dibattito è nella realizzazione dell’autonomia differenziata».

Ci sono una serie di equivoci, definiamoli così, che il professor Cortese ci aiuta a sbrogliare. «Il primo problema che presenta l’autonomia differenziata è che viene utilizzata per risolvere problemi di più ampio respiro. La Carta conferisce alle regioni ordinarie che ne facciano richiesta la possibilità di ottenere condizioni particolari di autonomia in determinate materie. Viene invece usata come grimaldello nell’assetto tra Stato e autonomie. È un problema che deriva dalla storia degli ultimi decenni. Dalla riforma del federalismo del 2001 che non è stata attuata come ci si attendeva. Così come ulteriori riforme costituzionali non sono andate in porto. Tante attese si scaricano sullo strumento autonomia differenziata. È come se chiedessimo a una 500 di sopportare il peso di un tir. La si mette in difficoltà dal principio».

Il professore ricorda che era stato tutto previsto nella legge sul federalismo fiscale del 2009. «Ci saremmo dovuti trovare in una cornice ordinaria (la cornice del federalismo) che non è stata attuata come ci si attendeva».

Entrando più nel dettaglio, Cortese spiega: «Il disegno di legge Calderoli vuole offrire regole procedurali per l’attuazione dell’articolo 116 comma 3 (l’autonomia differenziata, ndr). Da un certo punto di vista l’attuazione di regole in maniera uniforme è un dato positivo per non lasciare la materia in mano a singole iniziative che lo Stato potrebbe trattare volta per volta. Però nello stesso testo si ritrovano aspetti singolari. Si tende a sottrarre al Parlamento gli elementi più importanti della valutazione e degli assetti normativi da realizzare, per portarli sul piano di commissioni paritetiche che devono essere formate dallo Stato e dalle Regioni e dalle autonomie locali. L’articolo 116 comma 3 prevede che l’approvazione delle intese Stato Regioni ai fini della differenziazione debba avvenire in Parlamento con maggioranza qualificata. Ha senso una forte visione unitaria. Invece se io stabilisco che proceduralmente il Parlamento approva la cornice ma poi le trattative avvengono regione per regione in modo diverso, questa visione unitaria viene meno. È un elemento di complessità che ne mette a rischio la gestione».

E torniamo al come. «La logica originaria, almeno letta nel modo può razionale possibile, vorrebbe che si consentisse alle regioni che sono in grado di migliorare l’amministrazione in determinate materie, di poter invocare un margine maggiore di autonomia. La logica è una logica di ritaglio al termine di un’istruttoria delle regioni su materie in cui è possibile fare meglio. E la richiesta verrebbe poi effettuata allo Stato. La logica non può essere di chiedere tutto».

Del perché la materia sia spesso oggetto di propaganda, Cortese risponde ricordando l’evento politico che ha portato il tema al centro del dibattito.
«Nella visione d’assieme ci può aiutare un dato di fatto. A smuovere le acque dell’autonomia differenziata sono stati i referendum in Veneto e in Lombardia. Del Veneto in particolare, dove il referendum fu promosso come legge regionale. Si pronunciò la Corte Costituzionale e diede il via libera a questo specifico referendum. I risultati furono largamente favorevoli alla differenziazione. Va detto, anche favoriti dal modo in cui venne posto il quesito: in maniera molto generica. Il modo in cui arrivò quella vittoria ha creato un punto di non ritorno sul piano politico. Su quei territori l’istanza per questa richiesta è molto forte. È un dato che non si può ignorare. Che sul piano politico e sociale non va sottovalutato. Se chiedi ai cittadini cosa ne pensano, poi bisogna tenerne conto. Forse era fin troppo facile che il referendum andasse bene per i politici che lo hanno proposto ma è effettivamente andato bene. Quella domanda attende risposta, non si può dire abbiamo scherzato. In Veneto l’autonomia differenziata fa parte della comunicazione politica della Lega. Sia i media locali sia alcuni centri d’interesse economico e produttivo sono ancora oggi molto interessati a questi sviluppi. Non è un dato evanescente, è presente».

Cortese chiude nella maniera più razionale possibile: «Per recuperare un senso positivo e dare risposta a bisogni che si sono creati, si deve tornare a un procedimento razionale. Le regioni che sono in grado di dimostrare che in alcuni ambiti possono fare meglio, dar vita a un’amministrazione più efficiente e più efficace, possono presentarsi di fronte allo Stato e chiedere maggiore autonomia per fare o realizzare questo o quello. Non si può pensare, invece, che le regioni si presentino allo Stato per chiedere un’autonomia speciale che non potrebbero mai avere».