Basta barricate ideologiche
Autonomia differenziata, la Consulta ha già superato il referendum: così l’Italia non si spaccherà
Gli elementi di illegittimità costituzionale della legge sono stati indicati.
Uno dei grandi drammi del nostro paese è l’apparente incapacità politica di affrontare un qualsiasi tema con la necessaria serenità, evitando l’ideologizzazione del dibattito e l’oramai tradizionale lesione manichea. La corsa alla barricata non è una novità, soprattutto quando l’oggetto è la Costituzione. Nel medesimo istante in cui si fa largo una proposta, sorge de relato un comitato del “no” che sancisce apoditticamente la gravità della proposta e l’imminente “insanabile lesione” che produrrebbe nel paese.
Sull’autonomia differenziata il copione si è ripetuto alla perfezione, con le opposizioni che sin da subito hanno parlato di “spacca Italia”. Le stesse opposizioni che hanno varato la riforma del Titolo V della Costituzione, alla vigila delle elezioni del 2001 a colpi di maggioranza. L’autonomia e prima ancora le teorie “federaliste” sono state etichettate come il male assoluto, elementi destinati a disarmonizzare l’intero paese. Una vulgata credibile se alle teorie “autonomiste” si potesse contrapporre un centralismo funzionante, burocraticamente ineccepibile. Ma non è il caso dell’Italia, dove anzi il centralismo burocratico sul modello francese (ereditato dall’intera penisola nell’estensione dell’esperienza giuridico-politica sabauda) ha mostrato spesso tutti i suoi limiti, superati dall’introduzione in Costituzione delle Regioni, dove si è iniziata a concepire l’importanza di una maggiore attribuzione di funzioni a quelli che oggi definiamo Enti locali. Motivo di grande dibattito nella Costituente e in realtà tema di discussione da ben prima che si realizzasse la nostra unità nazionale.
La “legge Calderoli” – con le modifiche avvenute in Parlamento – è stata anche il primo passo per regolamentare quanto previsto dallo stesso titolo V, rimasto inattuato fino a ora, e un passo per superare il centralismo burocratico amministrativo. Il tutto è stato dipinto come un rischio apocalittico per il Mezzogiorno, come se potesse vivere solo se eterodiretto dal governo centrale. Visione superata dalla realtà già nello stato attuale delle cose. L’errore delle opposizioni – che governano anche due importanti Regioni del Sud (Campania e Puglia) – è stato quello di dogmatizzare il dibattito e, al di fuori della Conferenza Stato-Regioni, interpretare l’autonomia come una minaccia per il Sud, parlando addirittura di incostituzionalità e brandendo un referendum come arma politica per disinnescare la riforma.
La Consulta non ha rilevato alcuna illegittimità costituzionale nell’autonomia, ma l’ha ravvisata in altri elementi della legge. Frutto forse di un iter eccessivamente frettoloso, come ribadito dallo stesso presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, secondo cui “è importante attuare il Titolo V della Costituzione, ma non in modo che sembri divisivo per il paese”. Perché attuare l’autonomia differenziata significa anche attuare “due obblighi – ricorda Occhiuto – dello Stato rimasti solo sulla Carta, la garanzia dei diritti sociali e civili, i cosiddetti Lep”.
La Corte costituzionale dalla sua ha superato il referendum, indicando già i punti su cui il governo e Parlamento dovranno intervenire per sanare gli elementi di illegittimità costituzionale della legge. Le opposizioni dovrebbero capire che è giunta l’ora di abbandonare la barricata, per costruire una legge che superi veti e vincoli, per attuare una parte inattuata della Costituzione. Perché se come affermato dal ministro Calderoli “ne ho viste di peggio, qui si tratta di sette punti”, è pur vero che si tratta della Carta costituzionale e di alcuni elementi non proprio secondari. Tanto sul piano giuridico quanto su quello della percezione di una legge che deve essere compresa da tutta l’Italia, senza distinzioni di sorta.
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