Tutto torna! La disputa nordsud si riaffaccia con cadenze più o meno simili e toni di volta in volta più bellicosi. La cronaca di questi giorni ci consegna la denuncia, per omissione di atti d’ufficio, al Ministro del Sud, reo, secondo i novelli agitatori, di bloccare i fondi alle agognanti Regioni del mezzogiorno. Per non parlare dell’accusa di controrisorgimento rivolta al Governo. Addirittura! La storia si ripete e le recenti forme di ribellismo autonomista cercano di trovare ancoraggio a tradizioni più blasonate. È utile rileggere gli scritti e il pensiero di illustri meridionalisti, dei tanti intellettuali e uomini politici che hanno affrontato il tema dell’autonomia e del decentramento con una visione di ben altro spessore.

Gli scritti di Gaetano Salvemini, Guido Dorso, Napoleone Colajanni, Giustino Fortunato e Carlo Cattaneo, fanno parte della libreria di chiunque voglia interessarsi a queste dinamiche e trovare in queste tutte le motivazioni per alzare la voce, ma a giusta ragione. La storia del pensiero nazionale dimostra che esiste un filo rosso che ha legato, per decenni, le visioni autonomiste del Nord e del Sud del nostro Paese. Da posizioni talvolta contrapposte, gli autonomisti hanno sostenuto, con le stesse parole d’ordine e avvalendosi degli stessi termini e dei medesimi ragionamenti, che senza dare al Paese una struttura governativa basata sulle Autonomie, saremmo rimasti indietro nella sfida dello sviluppo e del progresso.

Questo è forse l’elemento che li distingue maggiormente dagli “eredi” dell’orgoglio sudista, più propensi al ribellismo e all’assistenzialismo; manca a quest’ultimi ogni reale slancio riformatore: lasciare le cose come stanno, rivendicando risorse e prebende nella logica dei trasferimenti in virtù di un asserito maltolto. Uomini politici, studiosi, convinti della necessità di ridisegnare l’architettura istituzionale italiana sulla base di un sistema meno accentratore, si sono, invece, adoperati in un continuo confronto sull’autonomia attraverso percorsi di riforme istituzionali e di modifiche dell’assetto economico e sociale. Buone intenzioni ma, scarsi risultati concreti. Il divario economico tra Sud e Nord del paese permane ancora il più rilevante in Europa.

Il dibattito sull’autonomismo parte, infatti, da molto lontano, e non si è sempre dispiegato in un contesto aperto e sereno. Se le critiche hanno avuto molti elementi in comune tra autonomisti di entrambi i fronti, il confronto, pur muovendo da ragioni ideologiche simili, si è manifestato fino ad arrivare ad accuse estreme, dagli accenti ‘razziali’. Ne sono un esempio le espressioni usate dal cosiddetto “federalismo razziale”, che fece capolino a fine ‘800 nell’ambito del confronto sullo Stato unitario, soprattutto tra gli strati popolari del Nord, che imputava all’incapacità genetica dei meridionali i motivi dell’assenza di sviluppo e di progresso nel Mezzogiorno. La storia ci racconta della richiesta di due diversi governi per le due Italie: il Nord maturo, evoluto ed efficiente, dotato di una ampia autonomia da parte dello Stato, mentre il ‘primitivo Mezzogiorno’, subalterno e corrotto, con un forte governo accentrato con funzione di controllo.

La tesi del “federalismo razziale” portava in sé estremismi ideologici e l’assunto della indispensabile presenza di istituzioni centrali, per combattere alcune malattie storiche del Meridione, come il clientelismo e la malavita. Lo stesso Fortunato, storico senza il contributo del quale il Sud non avrebbe costituto una “questione”, sottolineò a più riprese che uno dei principali problemi del Mezzogiorno era costituito proprio dal sistema clientelare e dalla corruzione che bloccava qualsiasi sviluppo economico e rappresentava un pericolo per ogni azione di decentramento. Salvemini, anni più tardi, sempre sull’idea della necessaria garanzia di istituzioni più forti come unica soluzione per sconfiggere il blocco reazionario del potere politico clientelare e corrotto dei latifondisti, propose la nascita di un Sud federale e di una Italia federale.

L’uso di simili linguaggi, il ricorso agli stessi riferimenti ideologici si possono riscontrare infine, nelle somiglianze tra l’indipendentismo siciliano ed il movimento Cisalpino. La storia della Sicilia ci ricorda quanto sull’Isola siano sempre stati vivi sentimenti ed aspirazioni di stampo autonomista. A partire dagli anni Quaranta iniziò a diffondersi, in maniera sempre più forte, il rivendicazionismo territoriale da parte di alcuni settori della società, finalizzato a richiedere maggiori poteri e più autonomia amministrativa per l’isola. Tanti testi ci ricordano le parole d’ordine di questo movimento spontaneo di indipendenza e quanto queste, a distanza di decenni e di chilometri, siano simili a quelle utilizzate dal Movimento politico cisalpino nel riferirsi all’identità economica e sociale della Padania.

Le aspirazioni espresse nel ben noto modello federalista proposto da Gianfranco Miglio, vengono argomentate con l’utilizzo degli stessi accenti adoperati negli anni Quaranta dagli indipendentisti siciliani. Tra gli stessi Costituenti, che animarono la discussione tra “regionalisti” e “centralisti”, si percepivano, chiaramente, elementi di difesa territorialistica: i rappresentanti del Nord – ad esempio- esprimevano la volontà di introdurre riferimenti normativi a tutela della capacità economica e finanziaria delle regioni settentrionali. Molto di tutto ciò ci riporta al confronto, di oggi, sull’autonomia differenziata, e sulle risorse trasferite alle Regioni in ragione della necessaria perequazione. Ma più che il confronto di idee, il fronte di governo ‘sudista’ preferisce contenziosi e carte bollate.

Stefano Caldoro

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