L’acceso dibattito sull’autonomia differenziata e sugli scenari apocalittici che si paventano, abbisogna di una pausa di riflessione per metabolizzare un dato realistico: si sta parlando di una legge-fantasma, di un’ombra giuridica che si aggira per l’Italia. Il concetto va spiegato riavvolgendo il nastro, con alcuni necessari approfondimenti tecnici.
Si parte dalla Riforma costituzionale del Titolo V. Oltre venti anni fa (2001) si è riscritta funditus l’organizzazione amministrativa italiana. Rovesciando il guanto, si è invertita la gerarchia degli enti ponendo al primo posto i Comuni, le Province e le Regioni fino all’ultimo, ove si è collocato lo Stato (art. 114 Cost.). In tale contesto novellato, l’art. 116, III c. ha previsto ulteriori e particolari forme di autonomia per le Regioni, da attuare con legge ordinaria. Sopraggiunge così la legge n. 86/2024 con l’obiettivo di dare contenuto a quella prescrizione costituzionale.
Di qui l’attuale polemica culminata con la richiesta referendaria, a furor di SPID, di abrogazione della L. n. 86/2024. Il quesito referendario sottende la necessità di un chiarimento circa la normativa che si vuole cancellare. Con la n. 86/2024 siamo in presenza di un provvedimento che la dottrina costituzionalistica definisce “legge rinforzata”, in questo caso, quanto al procedimento per ciò che attiene alla formulazione del relativo disegno di legge. Tanto si traduce nel rilievo che la n. 86/2024 non attribuisce nulla, non arricchisce né depaupera nessuno. Si limita a definire la procedura attraverso cui si effettueranno le attribuzioni di competenze, elencate nell’art. 117 Cost., richiamato nell’art. 116 III c. Cost. Se sono occorsi vent’anni per vedere promulgata una legge di attuazione della Riforma, non è eccessivo stimare la necessità di un lasso temporale non breve per l’effettivo allargamento della autonomia regionale.
La legge n. 86/2024 prevede, infatti, l’iniziativa delle Regioni, essendo facoltativa la richiesta di ulteriori acquisizioni autonomistiche; le consultazioni con gli enti locali interessati; le valutazioni dei competenti ministeri; l’avvio del negoziato fra Governo e Regione richiedente. A tanto deve seguire l’approvazione dello schema di intesa preliminare da parte del Consiglio dei ministri. Dopo laboriosi passaggi, l’intesa diverrà definitiva, sfociando in un disegno di legge. Il disegno di legge con allegata l’intesa, è, a sua volta, “immediatamente” trasmesso alle Camere per il successivo percorso parlamentare. Sono questi gli snodi qui compattati, ma ben più articolati, previsti dall’art. 2 della L. n. 86/2024: valgono al solo fine di farsi un’idea approssimativa delle complessità procedimentale.
Discorso analogo si pone per i temuti LEP. Per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, l’art. 3 della legge n. 86/2024 delega il Governo ad adottare i relativi decreti legislativi “entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore” della legge medesima. Nel biennio anzidetto occorre includere tutta una vasta e pluriscandita fase, variamente articolata nell’art. 3 della L. n. 86 cit. È così validato il punto di caduta del presente discorso: ogni timore discriminatorio, qualsivoglia preoccupazione di abbandono di intere aree nazionali, lasciate a sé stesse, private di risorse, è prematura, se non irrazionale, certo fuorvianti, in quanto (vale ancora ribadirlo), la legge n. 86/2024 non dispone nell’immediato, costruisce (solo) un percorso (laborioso) per un risultato finale autonomistico da inverarsi nel tempo. La partita è tutta dunque da giocare ed ha nelle intese un segmento endoprocedimentale di elevata contrattualità.
Una ultima considerazione. Certamente è legittima la richiesta di un referendum abrogativo. Lo strumento referendario, tuttavia, quale espressione di democrazia diretta, funziona su questioni “nette”, tipo “volete o no il divorzio?”, meno su questioni tecniche, qui addirittura di ingegneria costituzionale su un tassello di una riforma ormai avviata e che comunque dovrà essere portata a compimento (e che, a Costituzione rigida, ci dobbiamo tenere). Non sarebbe allora più utile mettersi “alla stanga”, cogliere l’occasione, organizzare una Sfera pubblica che discuta ed approfondisca, in tutte le sedi, specie in quelle consultive, il tema dibattuto, pervenendo alle prescritte intese con un attrezzato corredo conoscitivo ed operativo davvero partecipato dal basso, ed al contempo, ad alto contenuto di razionalità normativa?