L'editoriale
L’autorizzazione a procedere e la sciagurata riforma dell’articolo 68, con il populismo non si scherza: il Parlamento tuteli le sue funzioni
Qualche tempo fa ho scritto un saggio dal titolo “L’eutanasia della democrazia”. In quel lavoro ho trattato la sciagurata riforma dell’articolo 68 della Costituzione voluta dal Parlamento del 1993. All’epoca tutti i partiti, praticamente compatti dalla destra alla sinistra, hanno espiantato dall’originale articolo 68 della Costituzione, così come previsto dai nostri “padri costituenti”, il cuore della norma: l’autorizzazione a procedere. Lo fecero sull’onda del devastante populismo dell’epoca e con i fucili puntati da un’opinione pubblica sobillata dalla magistratura militante.
La vulgata popolare era molto semplice: il politico non deve avere privilegi, è un cittadino come gli altri e dunque se commette reati deve essere subito processato. La logica è stringente e apparentemente non fa una piega. Ma appena si approfondisce la questione si rileva subito come l’autorizzazione a procedere prevista dall’originario articolo 68 della Costituzione non era certo un privilegio, ma una prerogativa del parlamentare proprio per evitare che avvenissero situazioni come quelle che si sono verificate negli anni successivi.
In sostanza, il parlamentare raggiunto da un avviso di garanzia non sarebbe legibus solutus, ma sottoposto a un preventivo giudizio della Camera di appartenenza che dovrebbe decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere. La ratio è evidente: in ogni democrazia liberale, fatta di pesi e contrappesi, il Parlamento ha il diritto-dovere di tutelare le proprie funzioni dalle illegittime interferenze di altri poteri dello Stato. È un dovere, perché ciascun cittadino-elettore ha diritto ad essere rappresentato secondo le proprie libere ed insindacabili scelte. Tra l’altro, nell’eventualità in cui autorizzazione non fosse concessa, si attenderebbe la fine della legislatura e quel parlamentare sarebbe a quel punto giudicato così come ogni altro cittadino.
Diversa, ma non troppo, è l’odierna vicenda dell’Open Arms che vede Salvini sotto processo. Qui entra in gioco l’articolo 96 della Costituzione che ancora prevede per i ministri una forma di autorizzazione a procedere. Nel caso in questione l’autorizzazione fu concessa per un repentino cambio di campo del M5S e del suo leader Giuseppe Conte. Infatti, per una vicenda analoga, poco tempo prima i 5S votarono contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. Invece nel caso dell’Open Arms, stante una diversa composizione del governo, virarono a favore della concessione e il ministro infatti oggi è a processo.
Non mi interessa in questa sede valutare la coerenza di comportamento di quel partito. Anche se appare troppo comodo dire io non c’ero e se c’ero non ho visto, e se ho visto non ho capito. Vorrei però in questa sede far rilevare che le regole del gioco sono spesso, quasi sempre, più importanti del gioco stesso. E qui è in gioco la democrazia e l’equilibrio tra i poteri dello Stato. Ora non v’è chi non veda come una certa distanza temporale dai fatti in tema di lotta politica non possa che essere di garanzia per la separazione dei poteri tra Parlamento e magistratura, ma anche garanzia per lo stesso magistrato procedente, che intenda svolgere la sua alta missione senza provare a divenire protagonista della lotta politica contingente. Esso potrebbe con il distacco opportuno, direi doveroso, valutare i fatti, quando questi rivestono una effettiva rilevanza penale, in tempi sufficientemente distanti dalla polemica della quotidianità. Si osserverà che questa è la società ideale. Controbatto che quella attuale è invece la società dei veleni.
Insomma basterebbe riprendere il testo originario dell’articolo 68 della Costituzione così come approvato all’Assemblea costituente e riproporlo così come era originariamente senza polemiche di giornata, senza valutare se oggi tocca al mio compagno di partito e domani al mio avversario, ma cercando di volare alto come dovrebbe fare una politica degna di questo nome. Ovviamente tanto altro ci sarebbe da dire sull’argomento e tanto altro ho scritto nel saggio citato all’inizio di questo articolo. Qui mi limito a osservare che fu il Parlamento a creare quel vulnus, sia il Parlamento a sanarlo.
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