Nel nome di Silvio. O cosi vogliamo vederlo, l’approdo di oggi in Consiglio dei Ministri, della riforma della Giustizia. L’opera eternamente ricercata e -ahinoi tutti- incompiuta del Cavaliere, all’indomani del suo addio, e dopo che per 30 anni egli ha subito una autentica persecuzione volta a macchiarne l’immagine, eroderne il consenso lecitamente conquistato ed estrometterlo dalla politica che stava cambiando, comincia il suo cammino su impulso del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che -magistrato eccellente- per anni la ha pubblicamente e magistralmente teorizzata e dichiarata necessaria.

È come se la sofferenza giudiziaria, atroce, che su Silvio Berlusconi ha pesato assai più di quanto egli non abbia pubblicamente ammesso e lasciato trasparire, che ne ha condizionato e frenato la propensione riformatrice, oggi partorisca un tentativo figlio dei suoi patimenti. Basta processi utili non a offrire prove di colpevolezza per reati consumati, ma solo ad armare suggestive campagne mediatiche e politiche che annichiliscono persone, famiglie, reputazioni, carriere, imprese, e relativi posti di lavoro dei dipendenti.

Basta assuefazione all’andazzo che vuole ogni giorno, ogni otto ore, un italiano arrestato, sputtanato, annichilito, e poi, anni e anni dopo, assolto, senza il conforto di una riabilitazione con scuse. Basta osservare orrori giudiziari consumati sulla pelle degli italiani da magistrati che non soffrono poi nessunissimo disturbo per l’orrore consumato ai danni del popolo, in nome del quale dovrebbe amministrare la Giustizia. Basta confondere il fare giustizia col giustiziare, e con lo strapotere di qualche pm e della sua cultura del sospetto, resa forte da media compiacenti, conniventi, a volte persino complici, e così spesso altrettanto debole in aula, quando si vanno a verificare le prove.

È ora di liberare i tanti, tantissimi magistrati bravi, dal giogo che una minoranza potentissima, visibilissima, organizzatissima, e iper politicizzata, gli mette al collo. Mai più vorremo leggere un libro rivelazione come quello di Palamara e Sallusti. Perché’ difendiamo il diritto a violare la legge? No, perché crediamo nella funzione della magistratura, le chiediamo di essere al di sopra del sospetto, severa, veloce, non più di ostacolo alla crescita della nostra economia, e alla governabilità della nazione da parte della politica, che invece condiziona da anni. Per questo la vogliamo seria, la magistratura. Non piegata a giochi di parte.

Sappiamo che fare il magistrato è mestiere complicato: devi spogliarti del tuo pregiudizio, delle tue antipatie, delle tue diffidenze umane. Lo sappiamo. Ma sappiamo anche che non vorremo mai più vedere casi come quello di Silvio Berlusconi. Tantomeno ogni giorno, tre volte al giorno. Avanti, Nordio.