Avvocati attenzione, qui finiamo come in Turchia…

All’interno del Tribunale di Napoli, nello spazio antistante la Camera Penale, ho distribuito, insieme ad alcuni colleghi, adesivi raffiguranti una bandiera turca con la dicitura Anch’io sono un avvocato turco. Mi ripropongo di guadagnare così l’attenzione degli avvocati e, perché no, dei magistrati giudicanti e inquirenti su una preoccupazione, almeno per una volta, diversa da quella di come ridurre i rischi di contagio da Covid-19 negli uffici giudiziari. Intendo infatti riflettere, insieme a tutti gli interessati, sul massacro degli avvocati che si protrae ormai da settimane nella vicinissima Turchia, dove i colleghi stanno lottando a rischio della vita pur di onorare la toga che indossano.

Un sacrificio che peraltro si consuma nel segno della più infame disattenzione collettiva, sebbene confermi anch’esso che colpire il diritto di difesa equivale a colpire l’essenza stessa della democrazia e, più in generale, dei diritti civili. Una distrazione di massa che per buona parte si spiega con l’illusione – completamente sbagliata – che il nostro Paese e le garanzie di civiltà della sua Carta Costituzionale si trovino al riparo da rischi di degenerazione similare. Come se non puzzasse di muezzin la crassa ignoranza del ministro Alfonso Bonafede e, in perfetta coerenza, la sua avvilente deriva di demagogico-populista. Come se non si avvertisse il lezzo di fatwa controriformista persino in talune pronunzie, anche recentissime, dei nostri giudici di legittimità.

Tra esse – solo per esempio – quella della terza sezione penale della Cassazione che, con una disinvoltura da ayatollah, ha letteralmente stracciato il principio di parità delle parti davanti al giudice terzo e dunque l’articolo 111 della Costituzione. In che modo? Affermando, con imbarazzante leggerezza, che il pm e il suo consulente sono parti intrinsecamente diverse e più attendibili rispetto alla difesa. Non da meno quella della Cassazione a sezioni unite che ha invece spazzato via col piglio di un mullah i princìpi di oralità e immediatezza connaturati al nostro processo penale. È stato cancellato così l’elementare principio di civiltà per cui il giudice che emette la sentenza sulle prove raccolte al dibattimento non deve essere diverso da quello che tali prove ha raccolto di persona potendo perciò solo lui pesarle per quel che effettivamente valgono, non certo un qualsiasi altro giudice che – nel migliore dei casi – può formare il proprio convincimento solo leggendo i verbali correlativi. Dunque, solidarietà piena e militante ai colleghi turchi. Anche perché la democrazia e la civiltà del diritto vanno difesi prima di trovarci ridotti nelle loro condizioni.