Per qualcuno rappresentava il sogno di una vita, per altri una  garanzia di guadagno e di prestigio, per altri ancora il trampolino di lancio verso la politica e l’amministrazione. Oggi non è più così. Anzi, la toga sembra essersi trasformata in uno spauracchio dal quale sempre più avvocati fuggono per puntare al posto fisso. Magari a uno di quelli previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ambisce a rinforzare i ranghi di vari settori della Pubblica Amministrazione, a cominciare dalla giustizia.

Succede anche a Napoli: dall’inizio del 2021 a fine giugno, circa 70 avvocati hanno chiesto la cancellazione dall’albo. I numeri confermano un trend consolidato dal Covid. La pandemia, infatti, ha travolto migliaia di professionisti, primi fra tutti gli ultra60enni, cioè quelli meno capaci di tenere il passo delle innovazioni tecnologiche che hanno caratterizzato il processo, e i giovanissimi, cioè quelli che vivevano di collaborazioni con gli studi legali oltre che di adempimenti e sostituzioni pagate poche decine di euro ciascuna. «In generale – spiega Gabriele Esposito, vicepresidente del Consiglio degli avvocati di Napoli – le liberalizzazioni di Bersani hanno scatenato una spietata concorrenza al ribasso e il taglio delle tariffe forensi ha fatto il resto. Senza dimenticare l’obbligo di versare alla Cassa forense contributi che non sono parametrati al reddito reale e l’eccessiva burocratizzazione del processo».

Ma perché, anche a Napoli, sempre più avvocati dicono addio alla toga e si rifugiano nella Pubblica Amministrazione? Nel dettaglio, la prima motivazione riguarda il reddito medio che, nel 2019, si attestava intorno ai 40.180 euro annui per avvocato, già in calo di circa il 15% rispetto al 2010. A far crollare i guadagni dei professionisti hanno contribuito gli anni più duri della crisi economica del 2008-2009: non a caso il reddito medio dichiarato tra il 2013 e 2014 era inferiore addirittura del 20% rispetto ai precedenti “tempi d’oro”.

Ovviamente, il calo dei guadagni è stato più sensibile al Sud dove oggi non mancano gli avvocati, soprattutto giovani, che in un anno incassano mediamente meno di 30mila euro, cioè meno della metà rispetto ai colleghi della Lombardia. Tutto ciò ha ulteriormente inasprito la competizione, legata anche al numero dei professionisti che in Italia resta particolarmente elevato: 245mila in tutto, cioè il 13% in più rispetto a una decina di anni fa, di cui 12.300 solo a Napoli. Se si aggiungono le difficoltà del sistema giustizia, si comprende perché circa 5.800 avvocati italiani abbiano chiesto e ottenuto la cancellazione dai rispettivi albi nell’ultimo anno e perché sempre più professionisti siano orientati a entrare nella Pubblica Amministrazione.

«I concorsi pubblici – continua Esposito – rappresentano senza dubbio un’opportunità soprattutto per le colleghe che, con orari definiti e retribuzione fissa, possono conciliare impegni professionali e familiari». A fare gola, dunque, è soprattutto il posto fisso. È il miraggio dello stipendio a fine mese, dei contributi pagati e delle garanzie che caratterizzano il lavoro nel settore pubblico ad attirare i professionisti. Basti pensare che per potenziare l’ufficio del processo, cioè il team che dovrà affiancare i magistrati, il Pnrr prevede 16.500 assunzioni. I primi 8.171 posti sono stati messi a concorso il 6 agosto scorso. E qual è il distretto di Corte d’appello nel quale si prevede il maggior numero di immissioni in ruolo, cioè 956? Ovviamente è quello di Napoli, dove la Corte d’appello deve fare i conti con 57mila pendenze e per definire un processo penale in secondo grado occorrono cinque anni se non di più. Problemi che la guardasigilli Marta Cartabia punta a risolvere proprio attraverso massicce assunzioni di personale giudicante e amministrativo, oltre che investendo sull’ufficio del processo.

Resta, tuttavia, la necessità di rinnovare una professione di cruciale importanza per la tutela di libertà e diritti fondamentali. «Bisogna adeguare le tariffe all’attuale costo della vita e velocizzare i processi – conclude Esposito – La lentezza della giustizia non aiuta chi, come un avvocato, spesso viene pagato al termine di ciascuna fase processuale. Ecco perché riforme strutturali della giustizia possono produrre effetti benefici anche per la nostra categoria».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.