Al voto 13 capoluoghi di provincia
Ballottaggi, i duelli che decidono il futuro del centrodestra: su Salvini l’ombra di Zaia
Domani si torna a votare per il turno di ballottaggio delle amministrative. Un secondo tempo che raccoglie ancora meno elettori del primo turno e che la politica, sbagliando, prova a relegare sin d’ora al rango di contabilità locale. E invece è un test, quello di domani, che può rivelarsi la chiave di volta per il centrodestra che verrà.
Sono 13 i capoluoghi di provincia in cui gli elettori sono chiamati alle urne per la seconda volta: si tratta di Catanzaro, Verona, Lucca, Parma, Piacenza, Viterbo, Frosinone, Alessandria, Cuneo, Monza, Como, Gorizia, Barletta.
Tra i principali centri coinvolti due settimane fa c’erano anche Palermo, L’Aquila e Genova: lì sono stati eletti al primo turno, nell’ordine, Roberto Lagalla, Pierluigi Biondi e Marco Bucci. Tre sindaci andati al centrodestra, sì, ma in chiave non-leghista. E adesso gli osservatori guardano soprattutto a quattro duelli: quello di Catanzaro, Verona, Lucca e Parma. Gli esiti di domenica saranno doppiamente interessanti; se da un lato il centrodestra a trazione leghista sta cedendo lo scettro in tutta Italia ai candidati di Fratelli d’Italia, nel centrosinistra lo psicodramma tra Conte e Di Maio potrebbe produrre come primo effetto la fuga dalle urne degli elettori Cinque Stelle. Rimescolando completamente le carte e consegnando al ballottaggio un elettorato meno orientato che in precedenza verso i due poli populisti, Lega e M5S.
Una prima elezione non polarizzata, non ideologica e rivolta soprattutto alle biografie dei candidati: gli ingredienti giusti per autorizzare a pensare a qualche sorpresa di rilievo. Né sembra destinato a giovare particolarmente ai suoi candidati il video appello congiunto dei leader del centrodestra: Berlusconi, Salvini e Meloni hanno condensato in una clip la loro ultima chiamata agli elettori. Nel risiko della politica c’è chi è pronto a scommettere che per la leadership di Matteo Salvini, dopo questo turno di ballottaggio, i margini siano destinati a stringersi. L’opa di Luca Zaia su Via Bellerio è questione di poco; se c’è un elemento scatenante che può lanciarla, questo è l’esito delle urne di Verona. La città scaligera potrebbe riservare la più grande sorpresa di questo turno, con l’ex centrocampista della Roma (e del Verona) Damiano Tommasi che a capo di una coalizione di centrosinistra l’altra volta ottenne il 39,8 % contro Federico Sboarina (Fdi e Lega) fermo al 32,7%. Certo, è difficile. Perché il 25% di Tosi è un elettorato quasi tutto di centrodestra. Ma c’è anche qui l’incognita astensionismo. Il boccino dipenderà esclusivamente da chi saprà portare il proprio zoccolo duro al voto. E da parte di Sboarina, aver negato l’apparentamento con Tosi potrebbe rivelarsi un errore.
A Catanzaro la sfida è tra professori. Valerio Donato, docente di Diritto privato all’università Magna Graecia di Catanzaro, candidato del centrodestra che lo scorso 12 giugno ha portato a casa il 44% dei voti, dovrà vedersela con l’uomo del centrosinistra, Nicola Fiorita, 31,71% delle preferenze, docente di Diritto canonico e Diritto ecclesiastico all’Università della Calabria. In città il centrodestra si è presentato diviso, mentre per il centrosinistra si è sperimentato il campo largo, che Letta invoca a livello nazionale, a trazione Pd-M5S. Se dovesse essere sconfitto nell’unico capoluogo di regione dove si è sperimentato, l’alambicco di Letta finirebbe inevitabilmente in pezzi.
Sotto i riflettori anche Lucca: ha destato vivaci polemiche il sostegno di Casapound, che al primo turno ha preso il 9,5%, al candidato di centrodestra Marco Pardini, arrivato al 34,3%. Per il centrosinistra Francesco Raspini, (42,7% delle preferenze) è sopra di nove punti. Il via libera degli azzurri a Casapound ha dato la spinta definitiva a Elio Vito, esponente di Forza Italia, per lasciare il suo partito, rassegnando anche le dimissioni da parlamentare. «Una cosa molto grave – ha commentato Vito in una lettera inviata al presidente della Camera – L’antifascismo è un valore costitutivo della Repubblica rispetto al quale non vi può essere alcuna deroga». E visto che il candidato di Azione-Iv e PiùEuropa, Alberto Veronesi, aveva dato l’indicazione di apparentarsi con il centrodestra, Carlo Calenda è stato costretto a intervenire per dissociarsi: «Quando si sbaglia è doveroso ammetterlo. Veronesi sembrava una persona seria. Si è dimostrato non solo un incapace, ma anche disposto ad appoggiare la peggior coalizione di destra delle amministrative al secondo turno. Scusateci».
In Toscana si vota anche a Massa Carrara dove si fronteggiano la candidata del centrosinistra, senza M5s, Serena Arrighi (29,92%) e il candidato della Lega Simone Caffaz (18,93%) che potrà contare sul sostegno del candidato di Fi e Fdi Andrea Vannucci (16,98%) e del deputato Iv Cosimo Ferri che per appoggiarlo ha rotto l’alleanza con i socialisti del Psi. Infine, c’è Parma. Nel secondo capoluogo dell’Emilia-Romagna è battaglia tra l’ex assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili della giunta Pizzarotti, Michele Guerra, sostenuto da una coalizione di centrosinistra che però non include i Cinque Stelle, e l’ex sindaco, Pietro Vignali, civico che aveva amministrato la città ducale dal 2007 al 2011 e che in questo secondo turno è sostenuto da tutto il centrodestra, da liste civiche e dall’associazionismo cattolico e centrista. Per Vignali, che esce da un calvario giudiziario subito per anni, quello delle urne è comunque un ritorno all’agibilità politica che segna la sconfitta del populismo giudiziario con cui i Cinque Stelle, proprio da Parma, dieci anni fa iniziarono la loro scalata alla politica.
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