La storia di Barbara Speranza merita di essere raccontata perché è una di quelle storie che parlano di dolore vivo, di ferite aperte. Barbara ha perso sua figlia di 4 anni per una errata diagnosi, la bambina è arrivata in ospedale al Sant’Orsola di Bologna ed è rimasta ricoverata fino a morire. Sembrerebbe sia stata curata erroneamente per una gastroenterite e invece si trattava di una occlusione intestinale.

Quella bambina sarebbe morta per degli errori di diagnosi e cura, il Tribunale ha condannato in primo grado per omicidio colposo i medici. Non basta questo e nemmeno un risarcimento economico a lenire il dolore di una famiglia, che con quella mancanza ci fa i conti tutti i giorni. Immaginando un futuro che non sarà.

Adesso quel risarcimento danni potrebbe essere diminuito con la motivazione che Barbara è diventata di nuovo mamma, un figlio che arriva e che dovrebbe cancellare con un colpo di spugna non solo il dolore ma rimettere a posto i tasselli. Non funziona così, Barbara con le sue parole ha spiegato che vive ogni giorno camminando su una lastra di cristallo, dalla morte della bambina, da quel 21 ottobre 2020, è cambiato tutto e la nascita un secondo figlio non la porta su un’isola felice.

Gestire il dolore è già un’operazione molto complicata, non c’è un metodo, non c’è una ricetta e non è mai la stessa. La riduzione del risarcimento sarebbe una beffa enorme, i figli non sono figurine, non si sommano e non si sottraggono, sono emozioni, sono amore incondizionato, sono legame profondo. Sono rinascita e consapevolezza ma non leniscono il dolore per la perdita di un altro figlio, non funziona come il detto chiodo schiaccia chiodo.

Non funziona così l’amore. Ci vuole rispetto per la vita, per la morte, ci vuole rispetto per quel dolore muto e sordo ma presente, che fa di Barbara una mamma con il cuore a metà, con gli occhi spesso altrove, con la paura sempre presente e lo sconforto di avere perso una parte di sé. Non è umano e non è condivisibile pensare che si possa operare una riduzione di quel risarcimento perché Barbara è un’altra volta mamma.

Bisognerebbe semplicemente partire da un assunto: oggi quella bambina sarebbe ancora viva se quei medici, come sembrerebbe emergere dal processo e dalla condanna in primo grado, non avessero errato la diagnosi, oggi quella bambina correrebbe con Barbara, andrebbe al mare o al campo scuola, avrebbe già in mano secchiello e paletta, costruirebbe i castelli di sabbia, sorriderebbe al suo presente e al suo futuro. Probabilmente giocherebbe con il suo fratellino minore.

Oggi però Barbara racconta un’altra storia, che è fatta di dolore, che è fatta di rinunce, di silenzi, di vuoti. E quando hai a che fare con il dolore crudo, che ti sbatte in faccia ogni santo giorno, non puoi che entrarci in punta di piedi, non puoi che avvicinarti con grande rispetto, perché il dolore è dolore e nessun risarcimento lo cancellerà.