Bambini, c’è la guerra in tv ma non è un nostro gioco. Le responsabilità dei genitori al tempo dei conflitti

Ho due bambini: Alice, che oggi compie undici anni, e Francesco, di sette. Da quando sono padre, non riesco più a guardare film dove ci sono bambini che soffrono. È un sentimento comune tra genitori: l’idea che i nostri figli possano soffrire ci rende vulnerabili. Ricordo la fatica di leggere “Anna” di Niccolò Ammaniti, sperando in un finale che alleviasse l’angoscia della storia di due fratellini soli tra le rovine di una Sicilia devastata da uno scenario apocalittico. Solo l’idea che fossero i miei figli, da soli, abbandonati all’orrore mi faceva stare male. Era solo un racconto, figuriamoci quando l’abbandono all’orrore arriva da un telegiornale della sera, che racconta il bombardamento dell’Okhmatdyt di Kyiv.

C’è la guerra in tv

Il telegiornale lo guardiamo insieme. Quando ci sono notizie come queste provo a proteggerli facendo da filtro. Passo il tempo come uno spettatore di una partita di tennis a muovere lo sguardo dalla tv al loro viso e di nuovo sulla tv, cercando di intuirne le emozioni e anticiparne i pensieri. Alle otto di sera la guerra entra in casa nostra e riempie la stanza di paura. Eppure, la guerra era già stata in quella stessa stanza, qualche giorno prima, ma senza la paura. Avevo accettato di “giocare alla guerra” con loro, sparandoci, con dei blaster, dei dardi di schiuma, come fanno tanti altri nel mondo (il mercato dei giocattoli Nerf della Hasbro vale circa mezzo miliardo di dollari). Questo mi rende un pessimo genitore? Secondo alcuni psicologi, sì. Bandura sosteneva che l’esposizione alle armi da gioco incoraggia comportamenti devianti e aggressivi. Holland che potesse portare a diventare violenti e delinquenti.

Le armi giocattolo

In UK, un approccio di tolleranza zero ha portato al divieto di acquistare riproduzioni di armi da fuoco, anche giocattolo, per i minori. Lo prevede l’articolo 40 del Violent Crime Reduction Act! Ma uno studio di Sven Smith e Kevin Beaver, su un campione longitudinale di 2019 adolescenti, non ha trovato alcuna correlazione tra giocare con le armi e comportamenti violenti da adulti. Anzi, alcuni autori suggeriscono che i giochi di combattimento possano alleviare tendenze aggressive, causate da disturbi come l’ADHD o la depressione. Mi è tornato in mente un “Diario minimo” di Umberto Eco, in cui scrive una lettera a suo figlio promettendogli tantissime armi giocattolo. Eco aveva giocato con le armi da piccolo, ma dopo aver vissuto la guerra e fatto il militare senza mai impugnare un fucile, riteneva che la sua infanzia giocosamente bellica l’avesse reso “un uomo che si è macchiato di tante iniquità ma che è sempre stato puro di quel tristo delitto che consiste nell’amare le armi e nel credere alla santità e all’efficienza del valore guerriero”.

Solo per gioco

Oggi, non riuscirò proprio a giocare alla guerra. Ma domani forse lo rifaremo, come forse lo hanno fatto tempo fa anche quei bambini colpiti ieri. Giocheremo anche per quei bambini, che non riusciranno a farlo più, perché le armi per loro non potranno più essere un giocattolo ma solo un ricordo doloroso. Giocheremo ancora, perché quando giochiamo a nessuno di noi tre viene in mente di bombardare un ospedale pediatrico. Giocheremo ancora alla guerra, perché nessun bambino debba più avere paura che un gioco diventi una tragica realtà e perché giocando si esorcizza la paura di un mondo ingiusto dove “guerra” e “bambini” dovrebbero essere parole nella stessa frase solo se c’è anche la parola gioco. I bambini questo lo sanno. I grandi ancora no.