Bambini tra coltelli e violini, i palliativi della politica che non riesce ad “acchiapparli” in tempo

Una scia di violenza inaudita e inarrestabile quella che sta attraversando oramai da mesi la nostra città. Una scia di sangue che dalle periferie, attraversa tutte le strade di una Napoli sfinita di fronte ai suoi figli che ogni giorno si fanno del male. E sono sempre i più piccoli quelli che si tirano coltellate, sparano alle forze dell’ordine, mettono a segno tre rapine in una notte. Tirapugni, coltelli, pistole, sono questi i giochi dei nostri ragazzi. L’ultima follia ieri quando un ragazzino di appena tredici anni ha discusso con un ragazzino di 4 anni più grande, ha infilato le dita in un tirapugni e lo ha colpito. In pieno volto. Fortuna ha voluto che la ferita fosse lieve e limitata al sopracciglio. I carabinieri della stazione di Casavatore hanno bussato alla porta della sua abitazione e trovato un coltello a serramanico, uno a farfalla e uno a multilama. Poi due pistole giocattolo e una katana.

Ma come siamo arrivati a questo? Com’è possibile che le pagine dei giornali locali siano una lista infinita di violenze, risse, rabbia, povertà? Rintracciare le motivazioni è complicato, bisogna scendere nelle viscere della città e di questi ragazzi dimenticati da tutti. Dimenticati anche e soprattutto dalla politica. Una politica che pare non rendersi conto di ciò che accade in città, o meglio, lo sa ma si limita a parlarne. La chiesa dal canto suo è stata travolta da un’ondata di responsabilità, il suo ruolo dalla notte dei tempi è sempre stato quello di sedere accanto agli ultimi, ai dimenticati, di aprire le porte degli oratori ai bambini con famiglie difficili alle spalle, ma non può farcela da sola. Senza le istituzioni. Ieri il vescovo di Napoli Don Mimmo Battaglia è ritornato sul Patto Educativo, sì c’è, è stato firmato, se n’è parlato molto, ma ora? Quando si inizierà davvero a fare qualcosa per questi scugnizzi? Perché mentre si parla, si discute, si siglano patti: li stiamo perdendo.

«Tutta questa violenza non è una cosa che stiamo scoprendo oggi – afferma l’onorevole Paolo Siani, membro della Commissione per l’infanzia e l’adolescenza – Conosciamo esattamente dove si trovano i ragazzi di cui parliamo, in quali difficoltà vivono, e in quali quartieri si trovano le loro case. Sono sempre gli stessi». Eppure, non siamo in grado di “acchiapparli” per tempo. «La politica mette in campo solo interventi palliativi, cioè servono per sei mesi, ma non si riesce ad avere una visione lunga – sottolinea Siani – Il Pnrr ci ha dato un obiettivo chiaro: ridurre le disuguaglianze. Se su questo nodo non interveniamo in modo strutturale, salviamo 3 ragazzini e ne perdiamo 15». Serve coraggio, serve alzare la voce, serve fare. «La politica deve trovare il coraggio di dire oggi: noi governo della città decidiamo di investire i prossimi anni nei bambini che nascono oggi. La politica si svegli! Deve capire che questo fenomeno è antico che non si ferma solo con la repressione, interventi a breve termine, se si vuole davvero arginarlo». La realtà è un’altra.

«I giornali descrivono il fenomeno, la politica osserva, don Battaglia prova a scuotere le coscienze – commenta Siani – Ma la verità è che manca una visione, una strategia. Ci vuole una strategia vera, che non è complicato da mettere in campo. Nessun bambino nasce criminale o sceglie di andare a fare le rapine, lo fa perché quello è il suo destino. Se nessuno interviene a fargli veder che c’è un altro destino –conclude – non hanno speranza». E l’ultimo film di Martone sembra arrivare con un tempismo perfetto. In una scena di “Nostalgia”, Don Antonio va a casa di una famiglia che spaccia e domanda al ragazzo, uno dei figli, perché ha smesso di suonare il violino, e dice alla mamma che è bravissimo, lei capisce che è quella la salvezza e risponde al prete: domani ve lo mando un’altra volta a suonare. Ed è compito di noi adulti dire a quel bambino di tornare a suonare il violino. È compito delle istituzioni.