Visco chiamato a valutare l’azione dell’esecutivo
Bankitalia non fa sconti al governo Draghi

Lunedì ascolteremo le “Considerazioni finali” del governatore della Banca d’Italia, una relazione sul 2020 con analisi e proposte per il futuro prossimo. Ignazio Visco si troverà nella condizione di dovere anche valutare l’azione del governo presieduto da Mario Draghi, ex governatore a Via Nazionale ed ex presidente della Bce.
È una situazione in cui, in passato, si trovò l’allora governatore Antonio Fazio quando, nel 1993, l’ex governatore Carlo Azeglio Ciampi fu nominato presidente del Consiglio e, poi, quando l’ex direttore generale Lamberto Dini fu chiamato, nel 1995, a ricoprire questa stessa carica, dopo essere stato ministro del Tesoro. Anche Ciampi, nel 1996, ricoprì quest’ultimo incarico prima di essere eletto, nel 1999, presidente della Repubblica. In queste circostanze la Banca d’Italia di Fazio non fu affatto indulgente: fu una prova di grande autonomia e indipendenza dell’Istituto che lunedì prossimo si prevede sicuramente si manifesterà. Fondamentale è la “parresia”, il parlar chiaro che Fazio espressamente richiamò in una delle sue “Considerazioni finali”. Ma pure nell’immediato dopoguerra una condizione abbastanza simile si verificò con Donato Menichella al vertice di Bankitalia e Luigi Einaudi per un non lungo periodo vice presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, prima di salire al Quirinale.
I temi che ora costituiscono il terreno della conferma dell’autonomia, anche intellettuale, di Palazzo Koch sono numerosi; ne potremo parlare in dettaglio nei prossimi giorni. Ovviamente ciò non significa affatto astenersi dal condividere o approvare le giuste iniziative e gli opportuni atti concreti del governo sempreché ne ricorrano i presupposti. Ma, paradossalmente, occorre, in una tale circostanza, un di più di severità per non solo “essere” ma anche per “apparire” e, soprattutto, contribuire al bene superiore del Paese. Il Recovery Plan appare bene avviato, ma esistono aspetti non secondari da chiarire, a partire dalla famosa cabina di regia a Palazzo Chigi, e dai contenuti delle principali riforme riguardanti il fisco, la giustizia, la concorrenza, l’amministrazione pubblica.
Il contributo tecnico che in proposito la Banca d’Italia può dare, nell’esercizio della funzione di alta consulenza per gli organi costituzionali, è importante. Incombe, in particolare, il rischio che, per i necessari bilanciamenti e le inevitabili mediazioni, l’approccio riformatore, stante il carattere della maggioranza di governo, venga ridimensionato dal punto di vista dei contenuti. Ma, non potendosi rimanere nella sola attesa degli impatti degli importanti progetti del Recovery Plan, anche sulle concrete politiche vi è da approfondire e proporre, a cominciare dal lavoro, dalla produttività, dall’innovazione, dal debito e dal sistema bancario e finanziario (pure per la parte di competenza del governo). Si pone altresì l’esigenza di rivedere le normative europee, in particolare il Patto di stabilità e il Fiscal compact – per quando, nel 2023, torneranno in vigore, come concordato – insieme con il Divieto di Aiuti di Stato. Si tratterà di progettare una radicale riforma che vada anche oltre, per le prime due normative, l’ipotesi della “golden rule”, la sottrazione, cioè, degli investimenti pubblici al vincolo del pareggio di bilancio.
Esistono alcune proposte per una diversa architettura, sia pure “in nuce” che superi quella ora sospesa che ha obbedito a una rigoristica, miope concezione dell’austerità la quale ha causato non pochi danni. Vale la pena ricordare che della denominazione del Fiscal compact il sostantivo fu proposto, nel 2012, proprio dall’allora presidente della Bce, Mario Draghi. Molta acqua, tuttavia, è passata sotto i ponti e questo accordo intergovernativo – che il compianto Giuseppe Guarino, maestro del diritto, riteneva confliggere con i trattati fondativi dell’Unione – appare sempre più insostenibile, oltremodo severo come è su deficit e debito, ma lassista sullo sconfinamento del 6 per cento del surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (surplus che più volte è stato segnato dalla Germania). Appare, invece, dare molto minore importanza alla sostenibilità previdenziale, al debito privato e alla ricchezza finanziaria delle famiglie, fattori, questi, che potrebbero dare un qualche vantaggio all’Italia. Vi è, dunque, un ampio terreno di approfondimento e di confronto, esaltando la dialettica istituzionale. La finalità dovrebbe essere quella di arrivare a una nuova Maastricht completamente diversa da quella precedente.
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