Come da tradizione, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco ha letto ieri le sue considerazioni finali sull’andamento economico del Paese, ma –come ben sappiamo- si tratta in questo caso delle sue ultime considerazioni: è l’ultima occasione in cui il Governatore –seguendo un consolidato corso d’azione che ricorda in particolare quello dei suoi antichi predecessori Guido Carli e Paolo Baffi– può fare il punto sulla situazione del Paese mettendo insieme la parte descrittiva e analitica su economia e finanza con la parte “normativa” (nel senso economico del termine), all’interno della quale si danno suggerimenti al governo nazionale e alle parti sociali al fine di migliorare le nostre prospettive future alla luce di queste analisi.

Nonostante i prevedibili tentativi di “tirargli la giacca” per fargli dire questo o quello, è tradizione consolidata del Governatore di Bankitalia di fornire suggerimenti all’Esecutivo, a imprese e sindacati secondo un’ottica pragmatica, mai furiosamente apocalittica o beceramente elogiativa. Se proprio vogliamo essere puntigliosi su queste ultime considerazioni di Visco, quello di cui si sente forse la mancanza è quel guizzo in più di analisi e di suggerimenti creativi, anche in ragione del fatto che si tratta(va) dell’ultima occasione per farlo.

Altri governatori hanno portato avanti questo approccio analitico e pragmatico con una forza retorica e argomentativa maggiore: sotto questo profilo, tutti dovrebbero in particolare rammentare la dichiarazioni di Guido Carli, secondo cui –al tempo della sovranità monetaria della lira- la Banca d’Italia stessa non potesse assolutamente compiere “atti sediziosi” nella forma di un rifiuto di acquistare i titoli di stato emessi e non acquistati da banche o altri investitori. Lo scopo di ciò stava per l’appunto nell’evitare il default delle finanze pubbliche del Paese, pur tenendo presente i costi di questa scelta “obbligata” sotto forma di inflazione sostenuta.

Oggi ovviamente i tempi sono diversi, e soprattutto diversa è la configurazione della sovranità monetaria che è in capo alla Banca Centrale Europea, ma resta fissamente presente –alla faccia di chi vorrebbe ogni volta inventarsi una teoria economica nuova, una “new normal”- il meccanismo di “coperta corta” che caratterizza le scelte della banca centrale, ovvero un forte aumento dell’inflazione (chi pensava all’inflazione nel 2019?) come costo e conseguenza dei massicci incrementi dell’offerta di moneta finalizzati a salvare la baracca europea dai pericoli gravi connessi alla pandemia, ai lockdown, e alla successiva emergenza geopolitica innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Sotto questo profilo, dentro un quadro macroeconomico globale caratterizzato da una crescita media del PIL del 3,5% (di un punto più basso rispetto alle previsioni fatte in uscita dalla pandemia, prima del febbraio 2022) USA e Unione Europea devono affrontare un’inflazione che ha caratteristiche diverse ma che comunque –nell’analisi standard esposta da Visco in questa e altre occasioni- deve essere affrontata attraverso il coordinamento virtuoso tra imprese, sindacati e governi per evitare la famigerata spirale prezzi-salari che colpì pesantemente l’Italia e altri paesi europei negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.

È buona cosa che l’Italia possa affrontare questa congiuntura inflazionistica beneficiando di una crescita del PIL nel 2023 che secondo Visco sarà intorno all’1%, dopo il 3,7% del 2022. Mi si consenta tuttavia di essere leggermente più ottimisti del Governatore ipotizzando –a meno di stravolgimenti seri a livello globale o italiano- una crescita intorno all’1,5%, anche a motivo del fatto che –dopo due anni di compressione di consumi e investimenti a motivo di pandemia e lockdown nel biennio 2020-2021- non pare irragionevole pensare a un biennio successivo di recupero delle attività e dei consumi compressi per il 2022 e il 2023: due anni difficili compensati da due anni di recupero. Nel 2024 chissà, oppure Panetta ci dirà.