Due bambine uccise in maniera brutale; tre imputati condannati che da sempre si professano innocenti e per tre volte hanno chiesto la revisione del processo; il dubbio che quello del cosiddetto “massacro di Ponticelli” sia un caso tutt’altro che risolto. Le conclusioni dei lavori della Commissione antimafia sull’omicidio di Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, le bambine di 7 e 11 anni assassinate il 2 luglio 1983, riportano la vicenda sotto i riflettori.

Secondo la Commissione, sarebbe opportuno proseguire con le audizioni «al fine di approfondire il legame che la camorra, e in particolare i pentiti, hanno avuto in questo caso» e verificare «se sono state esercitate pressioni al fine di nascondere qualcosa o coprire il vero colpevole di questo efferato delitto». Un delitto particolarmente feroce. «Una delle storie più cruente che il nostro Paese ricordi», per dirla con le parole della deputata Stefania Ascari, la componente della Commissione che ha coordinato i lavori e secondo la quale c’è il rischio che questa brutta pagina possa coincidere con «uno dei peggiori errori giudiziari della nostra storia recente». In 49 pagine di testo, più 24 allegati, sono racchiuse le conclusione del lavoro a cui, con la Ascari, hanno partecipato Luisa D’Aniello e Giacomo Morandi.

«Le sentenze si rispettano ma si devono poter commentare – ha detto ieri nel corso della conferenza stampa a Palazzo San Macuto -. Abbiamo sentito i tre ragazzi, oggi adulti, condannati per l’omicidio e marcati per sempre come “mostri”, e abbiamo acquisito un’enorme documentazione mettendo in luce tutta una serie di elementi che, se riletti con diverse tecniche di riscontro delle prove, appaiono decisamente inverosimili. Ci auguriamo una revisione del processo che possa portare ad una verità reale».

Attorno al massacro di Ponticelli risultano addensate versioni spesso modificate, ritrattazioni, testimonianze dubbie, al punto da mettere in seria discussione la condanna inflitta ai tre operai Giuseppe La Rocca, Ciro Imperante e Luigi Schiavo, accusati di aver seviziato e ucciso Barbara e Nunzia, e di vare dato fuoco ai loro corpi. Ai tre operai si arrivò dopo mesi di indagini impantanate. Furono le dichiarazioni di Carmine Mastrillo, fratello di un’amichetta delle due bambine scomparse, a dare la svolta all’inchiesta, ma ciò accadde solo dopo che Mastrillo (che inizialmente aveva ammesso di non sapere nulla), portato nella caserma Pastrengo di Napoli, incontrò il pentito Mario Incarnato, ex reggente della Nuova camorra organizzata su Ponticelli.

Per la Commissione antimafia, dunque, si è ancora in tempo per approfondire un possibile ruolo di “suggeritore” di Incarnato, che «conosceva bene il territorio dove si sono svolti i fatti e da cui provenivano tutti i testimoni». In quel periodo, tra l’altro, la pressione mediatica sulla vicenda era fortissima al punto che intervenne anche l’allora presidente Sandro Pertini e il fenomeno del pentitismo era un fenomeno nuovo, c’erano meno regole e i pentiti venivano talvolta «coinvolti attivamente nella risoluzione dei casi ed utilizzati quale fattore intimidatorio per convincere testimoni a fare dichiarazioni e indiziati a confessare». Di qui i dubbi sulla genuinità del supertestimone del caso di Ponticelli e la proposta di revisionare il processo.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).