Il Parlamento della nuova legislatura ha eletto Presidente del Senato Ignazio La Russa e Presidente della Camera Lorenzo Fontana come segno identitario della maggioranza di destra. Il 13 dicembre è convocato il Parlamento in seduta comune per l’elezione di dieci componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura e sarà un banco di prova per capire se prevarrà la violenza dei numeri prodotti da una legge truffa e incostituzionale o il rispetto delle istituzioni con una scelta rappresentativa delle diverse sensibilità sul tema della giustizia. D’altronde la votazione si svolgerà attraverso una modalità attesa da decenni; infatti il Parlamento il 17 giugno 2022 ha approvato la legge 71 di modifica dell’art. 22 della legge 195 del 1958 sulla costituzione e sul funzionamento del CSM, prevedendo procedure trasparenti di candidatura e nel rispetto della parità di genere.

La sollecitazione sugli adempimenti necessari per non violare la nuova disposizione di legge è stata rivolta dall’on. Riccardo Magi al Presidente della Camera sottolineando la necessità di definire le procedure delle candidature e di individuare un metodo di voto per assicurare il rispetto degli articoli 3 e 51 della Costituzione. Purtroppo la decisione assunta dai presidenti delle due Camere è assai deludente, in altri contesti si direbbe che non rappresenta neppure il minimo sindacale, perché non prevede neppure la presentazione di curricula e tanto meno l’esame delle candidature davanti a una commissione permanente o ad hoc. Addirittura i tempi di esame anche superficiale dei nomi sono ridottissimi dato che il termine della presentazione delle autocandidature o da parte di dieci parlamentari è fissato al 10 dicembre. La decisione più ipocrita e offensiva è però quella legata alla parità di genere, infatti viene semplicemente auspicato che vi sia una rappresentanza di genere almeno del quaranta per cento delle candidature, ma senza un vincolo perentorio e senza una garanzia di elezione di una percentuale vicina alla metà non essendo previsto un metodo di voto alternato uomo-donna o con l’annullamento dell’elezione dei rappresentanti di un genere dopo il sesto nominativo dello stesso genere.

Il rischio è che una novità venga vanificata e prevalga comunque la logica della lottizzazione decisa dai partiti in conciliaboli segreti senza un confronto pubblico e infatti già si vocifera di una divisione tra maggioranza e opposizione di sette a tre. È auspicabile che nel poco tempo a disposizione si apra una discussione per rivedere queste decisioni riduttive e definire scelte che consentano dopo la crisi che ha investito il CSM l’indicazione e la scelta di profili di alta qualità scientifica per restituire credibilità alla giustizia e al suo organo di governo della magistratura.
Quel che è certo è che il giorno del voto non si potrà impedire ai parlamentari di analizzare la storia, gli studi e la personalità dei candidati non accampando l’alibi del Parlamento limitato a seggio elettorale. Risulta davvero istruttivo leggere i precedenti e per questo ho recuperato gli interventi di Franco Russo, deputato di Democrazia Proletaria, di Franco Servello, deputato del Movimento Sociale e il mio, allora senatore radicale, svolti nella X legislatura nelle sedute del 20 giugno e del 5 luglio 1990.

Come rappresentanti di minoranze discriminate contestavamo il metodo della spartizione che prevedeva sette eletti alla maggioranza (4 alla DC, 2 al PSI e uno a rotazione ai laici) e tre al PCI e invocavamo un ruolo attivo dei Presidenti delle Assemblee per innovare una prassi partitocratica. Nilde Iotti, allora autorevole Presidente della Camera, consentì in via eccezionale tre lunghi interventi su una questione spinosa e nella risposta espresse “l’auspicio di una riforma volta a garantire meglio la rappresentatività delle forze politiche” e ribadì “anche a nome del Presidente del Senato Spadolini l’impegno a promuovere una riforma della normativa che regola l’elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura”. È incredibile che siano passati più di trenta anni per una riforma parziale e sarebbe paradossale che sia vanificata per mediocri interessi di parte aumentando la crisi delle Istituzioni.