Il Governo Conte si è trovato a dover gestire la più grave crisi economica dal secondo dopoguerra, imprevista e simmetrica, che ha colpito tutto il mondo, alla guida della settima potenza industriale del mondo. Il Presidente del Consiglio non aveva esperienza politica pregressa. E si è visto. Il Governo pensava, all’inizio, di poter risolvere la crisi economica e finanziaria, nella quale l’Italia si è trovata, con soli 3,7 miliardi di deficit. Ne serviranno 140. È infatti sufficiente scorrere in senso cronologico le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio e dal suo ministro dell’Economia Gualtieri, dall’inizio della crisi, per capire quanto l’Esecutivo abbia straordinariamente sottovalutato le dimensioni della crisi.

A fine febbraio 2020, il Governo riteneva che 2 decimi di punto in più di deficit pubblico, pari a circa 3,6 miliardi, fossero sufficienti. Lo scorso settembre, nella Nota di aggiornamento al Def, il Governo aveva previsto per il 2020 un rapporto deficit/Pil al 2,2%. Con le previsioni di allora, il livello sarebbe salito al 2,5%. Il 5 marzo scorso, il Presidente del Consiglio, al termine di un Consiglio dei ministri, dichiarava che l’Esecutivo avrebbe chiesto al Parlamento di alzare il deficit dello 0,35% sul Pil, per una cifra pari a 6,3 miliardi. Soltanto una settimana dopo, però, ecco che arriva un’altra rettifica, sempre del premier, che dichiara: “Abbiamo stanziato una somma straordinaria 25 miliardi da non utilizzare subito, ma sicuramente da poter utilizzare per far fronte a tutte le difficoltà di quest’emergenza“. “Vanno tempestivamente adottate tutte le disposizioni per affrontare l’impatto economico sui lavoratori, sulle famiglie e sulle imprese, per questo il governo chiede di autorizzare uno scostamento rispetto agli obiettivi di finanza pubblica per un importo fino a 20 miliardi di euro pari all’1,1% del Pil in termini di indebitamento netto, che corrispondono a circa 25 miliardi per competenza e cassa“, conferma il ministro Gualtieri. Il conto della crisi sale, quindi, a 25 miliardi di euro. Nel frattempo, saliva l’allarme sull’insufficienza delle risorse messe in campo dal Governo, ritenendosi del tutto anacronistiche e riduttive le cifre che stava presentando al Paese.

Il 10 marzo, due giorni prima del voto sul primo discostamento, scrissi in prima persona una nota nella quale dichiaravo “In un contesto dove il Pil potrebbe scendere di decine di miliardi, non ha senso parlare di interventi per pochi miliardi di euro, come quelli proposti dal Governo. Sarebbero solo noccioline“. L’evoluzione della crisi ha dimostrato, purtroppo, che avevo ragione. Lo scorso 24 marzo ribadivo questa insufficienza di risorse al ministro dell’Economia Gualtieri in audizione alla Camera. “Sappiamo che i 25 miliardi di euro stanziati per il ‘Cura Italia’ non basteranno. Abbiamo votato all’unanimità il 12 marzo sul discostamento del deficit. Il Governo era partito su un iniziale e timido 0,2-0,3% (3-6 miliardi di euro) che poi, nell’arco di pochi giorni, si è tramutato in 25 miliardi di euro di saldo netto da finanziare, 20 miliardi di maggiori oneri”. Proponevo quindi al Governo di impegnarsi, oltre che ad ascoltare il Parlamento, con l’Unione Europea “a chiedere un secondo discostamento di 3 punti di Pil aggiuntivi“.

Con un’altra nota datata 27 aprile proponevo al Governo di approvare un altro discostamento da 75 miliardi di euro. Il Governo non rispondeva fino all’approvazione del Documento di Economia e Finanza (25 aprile) nel quale si decideva a richiedere l’autorizzazione al Parlamento al ricorso all’indebitamento per l’anno 2020 di 55 miliardi di euro: 24,85 miliardi di euro nel 2021, 32,75 miliardi di euro nel 2022, 33,05 miliardi nel 2023, 33,15 miliardi di euro nel 2024, 33,25 miliardi di euro dal 2025 al 2031 e 29,2 miliardi di euro dal 2032. Il conto, quindi, saliva ancora e il deficit extra per l’anno 2020 arrivava a 75 miliardi di euro. Che già allora, purtroppo, apparivano non più sufficienti.

Ma non è finita. Perché a questa cifra si dovranno aggiungere altri 60 miliardi di euro, nel caso il Governo dovesse chiedere i prestiti MES e SURE, da utilizzare per il fabbisogno corrente già nel 2020. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che Conte, incredibilmente, non è ancora riuscito a dire con certezza se a quei fondi farà ricorso o meno, mettendo in grave difficoltà il Tesoro che non sa e quando (e per quanto) dovrà riprogrammare tutto il suo calendario delle aste, per far fronte al maggior deficit, nel caso questi fondi non venissero richiesti. Nel caso lo fossero, invece, il deficit extra potrebbe lievitare fino ai 145 miliardi di euro, pari a quasi il 10,0% del Pil. Lo ripetiamo, dai 3,7 miliardi di euro inizialmente previsti.

Questi sono i risultati di un Esecutivo che si è limitato a sottovalutare sistematicamente e a rincorrere la crisi. Come dimostrato sin da subito, abbiamo avvertito il Governo che i 3,7 miliardi prima, i 25 miliardi poi e i 75 miliardi ancora non erano sufficienti a colmare la domanda di risorse finanziarie proveniente da famiglie e imprese italiane.

Avevamo esortato l’Esecutivo a spendere tutto subito, secondo la tecnica del “front loading“. Non siamo stati ascoltati. Il Governo ha rincorso mese dopo mese, decreto dopo decreto, gli eventi, arrivando così ad una politica esattamente contraria, che potremmo chiamare di “back loading“. Anziché caricare tutto in anticipo, l’Esecutivo ha caricato tutto in ritardo. Con gli effetti disastrosi che si sono visti. Così come non ha ancora presentato il Piano Nazionale delle Riforme che richiede l’Europa per poter aver accesso ai fondi del Next Generation Fund UE, e non intende, ad oggi, anticipare la sessione di bilancio entro l’estate. Così da mettere in sicurezza, in un colpo solo, 2020 e 2021. Indeciso a tutto, capace solo di prendere tempo, perdere tempo. E il perché è presto detto.

Sulla questione dei rapporti con l’Europa, infatti, il Presidente Conte ha un Governo, ma non ha una maggioranza, diviso com’è tra la sua componente europeista (il PD e Italia Viva) e quella antieuropeista (il Movimento Cinque Stelle e in parte LeU). Per questo è un Esecutivo debolissimo, che si guarda l’ombelico, prigioniero della cattiva burocrazia e delle innumerevoli task force, incapace di dialogare con il resto del Parlamento, nonostante i moniti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Le opposizioni hanno votato 80 miliardi di discostamento per gli interventi emergenziali di politica economica assieme alla maggioranza, con senso di responsabilità, senza ottenere nulla in cambio, senza avere neanche un emendamento approvato, tra i migliaia depositati. Settembre, caro Presidente Conte, per presentare all’Europa il Piano Nazionale delle Riforme, è troppo tardi, rischi di non trovare più il Paese, che di quelle riforme ha bisogno adesso. Riforme e credibilità. Altro che le passerelle mediatiche, le veline di Casalino e i filmati da Istituto Luce di Villa Pamphili.