Parla il sostituto procuratore generale di Napoli
“Basta scandali, sì al referendum”, la voce fuori dal coro del Pm Raffaele Marino
«L’Anm non si è riformata, il Csm meno che mai, il Parlamento lavora a un riassetto che sembra privilegiare il settore civile a discapito dei tanti nodi da sciogliere in quello penale: il referendum è un momento di rottura indispensabile. Altrimenti difficilmente il volto della giustizia italiana cambierà». Raffaele Marino è uno dei pochi – anzi, pochissimi – magistrati che non esitano a schierarsi apertamente a favore del referendum sulla giustizia proposto dai Radicali e dalla Lega. Anzi, il sostituto procuratore generale di Napoli e icona della lotta alla camorra non esita a bacchettare anche l’Anm che, per bocca del presidente Giuseppe Santalucia, ha invitato tutte le toghe italiane a opporsi al referendum senza se e senza ma.
Presidente, lei è uno dei pochi a non rispondere alla “chiamata alle armi” di Santalucia: perché?
«Bollare il referendum come inopportuno equivale a invadere il campo non solo della politica, ma di tutti i cittadini. Ed è qualcosa di intollerabile».
Quindi è a favore di tutti i quesiti sottoposti da Lega e Radicali alla Cassazione?
«Li sottoscrivo tutti a eccezione di quello sulla separazione delle carriere. Il problema dello strapotere dei pm non si risolve separando la magistratura requirente da quella giudicante. Anzi, in questo modo rischia di assumere proporzioni ancora più grandi: se non al Csm, un pm a chi risponderà del proprio operato? A questo punto è più saggio collocare il pm al di fuori dell’ordine giudiziario e configurarlo come un organo del Ministero della Giustizia in modo tale che la sua condotta possa essere più direttamente controllata».
Sostiene anche l’idea di attribuire alle vittime di malagiustizia la possibilità di chiedere un risarcimento del danno direttamente a un magistrato?
«Certo. Perché un medico, un avvocato o un ingegnere possono essere chiamati a risarcire i danni provocati nell’esercizio della professione e un magistrato no? Perché un pm, che magari perseguita un innocente per motivi politici devastandogli la vita privata e la carriera, non dovrebbe dare conto di questo suo comportamento? Anche noi magistrati sbagliamo, come dimostra l’esorbitante numero di errori giudiziari rilevati nel distretto di Corte d’appello di Napoli, ed è giusto che di certi “abbagli” siamo chiamati a rispondere».
Bisognerebbe ripensare anche i criteri di valutazione dei magistrati, visto che i giudizi sul loro operato sono quasi sempre lusinghieri a dispetto del crescente numero di errori…
«Certo, ma in tal caso la questione è più complicata perché impone di entrare nel merito della condotta professionale di ciascun magistrato. Fatto sta che, in 63 anni di vita, il Csm non è mai riuscito ad assicurare una selezione credibile del personale giudiziario. A questo punto o si affida la valutazione dei magistrati a un organo esterno oppure mi fido di più di una vittima di malagiustizia che chiede di essere risarcita».
Molti si sono già detti contrari ai limiti alla custodia cautelare…
«Legittimo, ma ci spieghino perché. L’eccesso di carcerazione preventiva, in Campania come nel resto d’Italia, è evidente. Proprio il Riformista ha sottolineato come il 38% dei detenuti nelle carceri regionali sia in attesa di giudizio e come poco meno del 20 sia in attesa addirittura del primo giudizio. In questo contesto, se il processo non è celebrato rapidamente, la carcerazione preventiva si trasforma in una pena, spesso e volentieri ingiusta. Concordo con la necessità di limitare il ricorso alla custodia cautelare, a patto che i tempi di indagini e processi siano contingentati e che ai magistrati vengano forniti i mezzi per rispettare quegli stessi tempi».
Che cosa rende il referendum tanto necessario, dunque?
«Finora la magistratura è stata libera, ma questa libertà è degenerata in arbitrio. Le colpe dei magistrati sono evidenti: l’azione penale esercitata senza un minimo di controllo attribuisce un potere eccessivo anche al singolo sostituto, la dilatazione dei tempi è aggravata dal fatto che sia il magistrato a decidere quali processi fare o non fare, la deresponsabilizzazione tocca anche chi dovrebbe decidere secondo giustizia. Un’inversione di rotta è indispensabile così come bisogna incidere sull’azione penale rendendola obbligatoria solo per i reati più gravi».
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