L'intervista a Loredana Rotondo
“Beppe Grillo ricalca le oscenità di ‘Processo per stupro'”, parla la regista del film cult
Processo per stupro andava in onda nel 1979 e non è mai passato di moda. Prima cattiva notizia. La seconda è che la Rai non lo rimanda in onda. Fiorella, 18 anni, nel Tribunale di Latina raccontava come fosse stata adescata, sequestrata e violentata per un pomeriggio intero da quattro uomini. Durante il dibattimento però era emersa quella che viene definita vittimizzazione secondaria; la colpevolizzazione della vittima. Se n’è parlato molto anche in questi giorni, a proposito del caso di Ciro Grillo. “Una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kite-surf e denuncia dopo 8 giorni è strano. E poi c’è un video in cui si vede un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così … sono quattro coglioni, non quattro stupratori”, ha detto il padre Beppe, comico, fondatore e Garante del Movimento 5 Stelle, in un video sui suoi social network.
Se Ciro Grillo – con gli altri tre indagati (Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria) per violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne italo svedese in Costa Smeralda – è colpevole lo stabiliranno i giudici. È innocente fino a sentenza passata in giudicato. Le uscite del padre sul kite surf e sulla “denuncia dopo otto giorni, è strano” resteranno invece anche in caso di assoluzione da ogni accusa, un terremoto sulla politica e sul M5s. Dimostrano anche una certa noncuranza della legge Codice Rosso, approvata dal governo Conte 1, il primo con i grillini dentro, che ha prolungato da sei mesi a un anno lo spazio per le querele in caso di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, stalking.
Gli avvocati difensori di Processo per stupro chiesero dei rapporti orali alla ragazza, interrogarono la madre sulle conoscenze della figlia, paragonarono la violenza al rapporto tra marito e moglie, chiamarono a testimoniare persone che screditarono la vittima. Furono tre milioni i telespettatori che guardarono il film in prima serata il 26 aprile del 1979. Oltre nove milioni quando venne riproposto in seconda serata. Sei registe – Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini – tra cui Loredana Rotondo, che riconosce in certi passaggi di Grillo certi toni del suo film pluripremiato e conservato negli archivi del MOMA di New York. “Un atteggiamento maschilista rispetto alla violenza sessuale”, dice a Il Riformista.
Immagino abbia seguito il caso.
Il punto è sempre lo stesso: bisogna accertare il consenso, e questo va accertato in sede di giudizio. E quindi è inutile fare i processi fuori dalle sedi opportune. Se l’operazione dev’essere – come si faceva, e a volte ancora succede, con le donne, a dispetto dell’articolo 3 della Costituzione secondo il quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni – gettare discredito e non dare fiducia alla vittima, a chi denuncia, e rimandare all’idea delle portatrici della colpa; se questo è il pregiudizio c’è poco spazio per fare emergere la verità dei fatti. Non c’entra com’erano vestiti e se volevano divertirsi. Il giudice deve accertare se c’era consenso. Punto.
Che cosa insegna tutto ciò?
La questione non fa che reiterare un atteggiamento maschilista rispetto alla violenza sessuale. Problema centrale nella nostra cultura. Gli argomenti degli avvocati di Processo per stupro non erano lontani dal video di Beppe Grillo. Il metoo è riuscito in qualche modo a incidere negli Stati Uniti, ma dopo tanti anni siamo ancora molto arretrati. Vorrei risponderle con una citazione.
Dica pure.
Parto da un libro, La mia parola contro la sua – Quando il pregiudizio è più importante del giudizio (Harper&Collins), scritto dalla magistrata Paola Di Nicola, che pone la questione della credibilità delle parole di una donna che denuncia una violenza sessuale. I pregiudizi sono invisibili e molte donne non riescono tutt’ora, nonostante ci sia più attenzione e più ascolto da parte delle donne, e da parte di molti uomini – anche se vorrei fossero di più – a denunciare. Vorrei che finalmente cambiasse qualcosa, una svolta storica.
Cos’è cambiato invece da quando andò in onda il film nel 1979?
Certi processi procedono a macchia di leopardo, e poi ci sono dei momenti in cui si fanno dei passi in avanti molto significativi. Oggi c’è maggiore consapevolezza, autorità e indipendenza da parte delle donne. Sono cambiate, e anche tanto, le donne. Sono diverse da quelle di Processo per stupro, dalle madri del film per esempio. E io sono molto fiduciosa. Resta però una resistenza, superata dalla società, dalla nostra vita di tutti i giorni, una sacca che non è tanto diversa rispetto ad allora se ancora ne parliamo.
Processo per stupro è un documento storico, un punto di riferimento. E all’uscita fu un evento, un successo enorme.
Da un sondaggio emerse che gli spettatori lo avevano giudicato molto interessante. E dissero anche perché: perché era nuovo, originale certo, ma anche interessante sul piano etico. Aveva colpito maschi e femmine nello stesso modo. Era un programma diverso, differente.
Come nacque?
Eravamo sei autrici. Da un po’ nei convegni delle avvocatesse, delle magistrate, si denunciava come in questi casi, nei tribunali, da vittime si diventasse colpevoli. Il Convegno Internazionale sulla Violenza contro le donne alla Casa delle donne a Roma, nel 1978, organizzato dal movimento femminista, fu fondamentale. Ma come succede, ma perché, come mai? Questo chiedevamo e ci chiedevamo. E quindi il passo successivo: “Ok, voi lo dite, ma noi vogliamo rappresentarlo”. Chiedemmo allora al presidente del tribunale di Latina di poter riprendere un processo. La novità era che erano delle donne a parlare di questo. La realtà veniva guardata e rappresentata anche dalle donne; che poi è la grande realtà del secolo scorso: finalmente le donne studiavano, parlavano, descrivevano, dicevano la loro, facevano politica. La Rai però non vuole saperne di ripescarlo.
Come mai?
Non saprei. Si dovrebbe indagare. Gian Antonio Stella del Corriere della Sera se lo chiese qualche anno fa, a 40 anni dalla messa in onda. Processo allo stupro ha giocato un larghissimo ruolo sociale, e potrebbe essere davvero funzionale alla Giornata Internazionale della donna dell’8 marzo o alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre. Ormai sono delle feste e invece servono a ribadire che certi aspetti delle nostre vite non sono ancora così chiari e nemmeno giusti, equi. Quel film ha viaggiato in parrocchie, oratori, circoli. Ne ha fatti di chilometri e ha contribuito dopo 17 anni, nel 1996, a far approvare la legge contro la violenza sessuale (legge n. 66, Norme contro la violenza sessuale, identificata come delitto contro la persona, ndr).
Stella ha scritto che gli avvocati in vita e i familiari di quelli morti abbiano preteso l’oblio del film per via delle loro arringhe machiste. Si possono recuperare spezzoni su Youtube. Solo uno stralcio su Raiplay con l’arringa della difenditrice di parte civile Tina Lagostena Bassi.
La regia di quest’ultimo non è neanche la nostra, ed è strano. È una cosa che non ha senso. A bloccare il film pare ci sia non si capisce bene quale e che forma di diritto all’oblio. Non c’è la possibilità, e basta. Mi hanno riferito che un consigliere di amministrazione della Rai, interrogato sul caso, abbia osservato: ‘Perché devo occuparmene io, perché non se ne occupano le donne?’
Questo suona ancora più grave.
Non so cosa dirle.
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