Tecnologia
BeReal e la generazione Z

Il nuovo millennio ha portato con sé il digitale e con esso nuove possibilità di comunicazione per le persone che con sempre maggiore facilità tecnica hanno intrapreso la pratica del racconto di sé. Tali racconti hanno assunto le caratteristiche proprie del più generale processo di spettacolarizzazione dello spazio pubblico e, sempre di più, del privato nello spazio pubblico.
Gli individui non si limitano soltanto a cercare di comunicare qualcosa di sé, ma lo fanno tentando di mostrare il loro aspetto più seducente, pratica che Vanni Codeluppi, qualche anno fa, ha definito “vetrinizzazione del sé”. La vetrinizzazione è il frutto dell’esigenza individuale di definire la propria identità attraverso una costruzione e una gestione autonoma che passa anche per la rappresentazione “visiva” di sé. Questo implica una adeguata “messa in scena” di se stessi da esibire nelle tante diverse piattaforme social. Ognuno, abitando gli spazi social digitali, desidera presentarsi al meglio e per farlo si adegua agli standard di rappresentazione sociale diffusi anche utilizzando strumenti tecnici che modificano e migliorano in questo senso la loro immagine.
Se la pratica del selfie è una sorta di certificazione dell’intera esistenza sociale delle persone, il ritocco della propria immagine, la selezione del “”, oltre che del “come”, raccontare di sé così come la patinata offerta di una narrazione edulcorata e socialmente invidiabile sono stati e sono il registro narrativo degli ultimi sviluppi dei social network. Il selfbrandig non è, con tutta evidenza, l’azione social propria solo di personaggi pubblici e influencer, ma rappresenta una pratica diffusa di partecipazione privata nello spazio pubblico definito dal digitale. Questo perché, come scrive Nello Barile, il web permette di trasformare la propria soggettività in una realtà di interesse pubblico e, al tempo stesso, gli strumenti tecnici a disposizione all’interno delle piattaforme, garantiscono un’azione consistente di ricostruzione della propria immagine.
Di fronte a questo contesto nel quale ognuno tende a trasformarsi nella versione socialmente più attraente di sé, la generazione dei più giovani inizia a mostrare una certa insofferenza verso l’imposizione di standardizzazione della propria identità e della propria immagine pubblica. Da questa generazione Z che non a caso si fa fatica a definire e inquadrare, emerge un desiderio di naturalezza che non nega il parallelo bisogno di rappresentarsi nel miglior modo possibile, ma lo affianca con esperimenti di estemporaneità ironica, nel quale ad essere sanzionata socialmente è l’azione di controllo sulla propria immagine e non viceversa, come accade endemicamente nei social visual come Instagram e TikTok.
Nel 2020, nel pieno della pandemia mondiale, due giovani universitari francesi, Alexis Barreyat e Kévin Perau, hanno progettano l’applicazione BeReal, che sintetizza nel nome un Manifesto generazionale. Il motto della App è “BeReal is life, real life, and this life is without filters” cioè un richiamo alla naturale veridicità della vita e un tentativo di portare nel virtuale l’impossibilità che c’è nel mondo fisico di intervenire sulla propria immagine come si fa su una foto. È la App stessa che sollecita due sole volte al giorno l’utente a condividere un’immagine di sé e del contesto in cui si trova. Per farlo si hanno due minuti, eventuale tempo aggiuntivo, il rifiuto di condividere lo scatto o la sua pubblicazione posticipata sono permessi, ma vengono registrati e resi noti agli altri utenti, in una sorta di meccanismo soft di sanzione sociale per qualsiasi titubanza nell’essere real.
In questo nuovo ambiente social non esiste il concetto asettico e impersonale del “like”, si possono scrivere commenti e se si vuole sintetizzare una reaction all’immagine pubblicata da un altro utente è possibile creare emoji con il proprio volto che rivitalizzano in senso umano le emozioni standardizzate delle faccine gialle. Qualcuno ha voluto immaginare questa App come la messa in pratica della critica intellettuale all’edonismo narcisista dell’individualizzazione della società dello spettacolo.
Per i giovanissimi utenti rappresenta un modo inedito ed ironico di utilizzare la tecnologia che hanno a diposizione, definendo la propria identità secondo canoni sociali da ridefinire insieme, dentro una comunità capace con molta serietà, di prendersi gioco si sé. Non resta che comprendere come i giovanissimi utenti di questa inedita App sapranno mettere a frutto, per sé e per la propria generazione, quella che è una piccola opportunità dalle potenzialità socialmente e umanamente rilevanti
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