Berlusconi detta la sua linea, ma con Salvini e Meloni non c’è accordo sui sindaci

L’ennesima fumata nera del centrodestra sulla scelta dei sindaci è la misura di una divisione interna pari almeno a quello del centrosinistra. E questo risolve il nodo del 2022 nel senso che Mario Draghi resterà a palazzo Chigi e rinvia il ritorno alla “normalità”, cioè ad un governo politico, almeno al 2023. Al netto delle lotte di bandiera che terranno banco, come già accade adesso, sulla scena parlamentare nei prossimi mesi per portare consenso ad una parte o all’altra. Lo ha capito bene Silvio Berlusconi che ieri è tornato a parlare dopo due mesi di silenzio (ultima intervista il 5 aprile) e a dare la linea ad una coalizione confusa, che, a suo dire, «non può prescindere dal suo polo moderato che è Forza Italia», con due leader rivali (Meloni e Salvini) e che si divide di continuo pur restando “unita”. Per cui al mercoledì nasce un nuovo gruppo parlamentare come “Coraggio Italia” che pesca iscritti nell’area del centrodestra ma poi cinque giorni dopo “Coraggio Italia” siede allo stesso tavolo per decidere i sindaci. Senza aggiungere né togliere un voto all’area di riferimento. Posizionamenti. Nulla di più.

Berlusconi è consapevole che il centrodestra, nonostante i consensi, è un magma ancora da plasmare. La scelta di tornare a parlare il giorno della Festa della Repubblica vuol dare il segno non solo che lui, al di là degli spifferi, ancora controlla la situazione ma anche che Forza Italia non è forza gregaria di questo percorso, come hanno già deciso Salvini e Meloni, bensì soggetto politico centrale. «Sono stato io a promuovere il governo di unità nazionale e adesso questo il Paese vede la luce» ha detto nella lunga intervista a Il Giornale. Un colloquio a tutto tondo, dal Monza calcio che non è andato in serie A («ma l’appuntamento è solo rinviato») alla politica estera («Israele è un punto di riferimento, la Cina una minaccia»). Con lunghe e precise puntualizzazioni sul quadro politico italiano. Rivendica la nascita del governo Draghi, «il cambio di passo e la svolta sanitaria ed economica», le «distanze dal centrosinistra» avvertendo anche che «senza le riforme non prendiamo i fondi del Recovery fund».

Rivendica, soprattutto, la «nascita del centrodestra di governo moderato, europeista e liberale», cioè Forza Italia e Lega, marcando la distanza con Fratelli d’Italia che non si è unita in questo patto per il Paese. La Federazione a cui pensa Salvini è un progetto che al momento non lo appassiona ma conferma che il candidato premier sarà chi prenderà più voti. Anche Meloni, quindi, perché no. Berlusconi indica la priorità di una riforma fiscale che il centrodestra doveva fare già anni fa. Ammette che «ora è impossibile parlare di flat tax, non può essere questo governo a farla». Ma dà la linea sui quattro scaglioni progressivi a cui si dovrebbe ispirare la riforma Draghi. Poi Berlusconi affonda la lama sulla scelta di Toti e Brugnaro e la nascita del nuovo gruppo centrista “Coraggio Italia”. «È una scelta che rattrista – dice l’ex premier – e che non li porterà da nessuna parte».

Dietro l’ennesima fumata nera martedì sera al vertice del centrodestra sui sindaci, c’è anche il peso che avrebbero avuto l’indomani le parole dell’anziano leader che lotta contro gli strascichi del Covid ma che assicura di «tornare a lavorare da oggi stesso anche se da casa». La situazione resta in stallo. A cominciare da Roma e a cascata su tutte le altre grandi città al voto in ottobre, Milano, Torino, Bologna e Napoli. Scartata l’opzione dei leader politici, centrale (anche per Berlusconi) quella dei civici, l’accordo finale sembra più un accordicchio che un accordo vincente. Giorgia Meloni è convinta del suo “Mr Wolf dei sindaci”, il “tribuno della radio” e professore di diritto amministrativo, al secolo Enrico Michetti. «Una candidatura dal basso, trasversale che spiazza tutti gli schieramenti. Lui è un problem solver dei problemi delle città» ha ripetuto convinta anche nell’ultima riunione.

A Forza Italia non piace e alla Lega neppure. Entrambe si sono coalizzate sull’ex presidente del Tribunale dei minori Elisabetta Matone. E si torna così al solito braccio di ferro tra il centrodestra di governo e quello che sta fuori dal governo. Salvini, che indossa i panni del federatore e del paciere, morde il freno. Un disaccordo che ha convinto a lasciar perdere Bertolaso a Roma e Albertini a Milano. Quelli che il centrodestra, tutto, sembra voler perdere per non dover gestire la responsabilità, anche politica della vittoria. Nello stallo pieno di tensione, si armano i rispettivi fronti. «Il problema del centrodestra è che non sta affrontando le amministrative per vincerle, ma per cercare in qualche modo di regolare i conti al suo interno» ha detto ieri mattina Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia, ospite a Coffee break su La7.

La causa di tutto questo? «La crescita costante di Giorgia Meloni mentre su Roma Forza Italia sta giocando la sua sopravvivenza». E sempre a proposito di “unità del centrodestra”, Giovanni Toti non ha tardato la replica all’intervista di Berlusconi: «Ha ragione quando dice che bisognerebbe aggregare un grande partito moderato, popolare, liberale, riformista. Ma è stato lui a non consentire a Forza Italia di diventarlo non avviando il rinnovamento interno». Non è, al momento, un clima che predispone ad accordi politici sui sindaci. Cioè sul futuro del centrodestra in Italia.