Cara Tiziana,
ognuno, come tu hai ricordato, ha avuto il suo rapporto unico con Berlusconi. I leader, non solo politici, hanno questa vocazione e pazienza: ricordare i dettagli delle vite degli altri, con qualche intrusione emotiva. Io per lui ero un giornalista nato a sinistra, anzi a Repubblica, e che per conto suo e prima di conoscerlo aveva fatto una virata radicale in senso occidentale: pochi viaggi all’estero, Medio Oriente, America Latina ed Est post-sovietico e tutto era diventato chiaro. Con tutti i difetti, delitti e peccati, il primato della cultura occidentale nata in Grecia e in Giudea, ed esportata da Roma ed espansa nel mondo era la grande culla comune. Bertrand Russell.

Il mio divo filosofico di allora, aveva scritto il “Primato dell’Occidente” e anche per i miei studi di logica mi tenevano ben legato, come sono tuttora, al lago delle ranocchie come Platone chiamava il Mediterraneo. Quando arrivò in scena questo tipo e divo vincente del capitalismo lombardo, con tutte le caratteristiche di quel capitalismo, quell’italianaggine da esportazione e successo, ci furono fra me e lui alcuni dialoghi nelle trasmissioni televisive e una cosa fra tutte mi colpiva: il suo schieramento netto per l’Occidente e anche la comune passione per le vecchie canzoni francesi che marchiò un’epoca, ormai passata, ma non morta. Tu Tiziana eri già in Parlamento e facevi già parte di Forza Italia, mentre io riluttavo perché mi dava un senso di soffocamento la massa dei berlusconiani vocianti che somigliavano nel vociare a tutti gli altri. L’avevo già visto ai tempi di Craxi, di Andreotti e anche di Berlinguer. Ricordo che una volta evasi letteralmente da un meeting di fronte a una coreografia veramente troppo nordcoreana, con applausi troppo scroscianti e musica a tutta birra. E lì confesso le mie debolezze, ma a me anche vedere due persone con la stessa cravatta fa senso e di sicuro il primo berlusconismo su coreografia aziendale sfiorava il genere di compleanno di Kim-Il sung.

Ma del resto provavo lo stesso fastidio per il tripudio delle bandiere di plastica del primo maggio e di tutte le ricorrenze in cui si tambureggia, cosa in politica inevitabile. Berlusconi non solo era a suo agio in quelle coreografie ma sapeva adattarle perfettamente alle folle cui erano destinate. Mi chiedevo: che cos’è che mi manca dei vecchi partiti tradizionali di sinistra che ho abitato fino al Psiup, saltando sempre il Pci ma percorrendo gruppetti e gruppettari anche i più equivoci. E mi dicevo che mi mancava il patriottismo della democrazia in sé. Il parlamentarismo in sé. E il fatto è che il culto della personalità non può essere considerato cosa buona e santa se riguarda Enrico Berlinguer e sterco del diavolo se si tratta di Silvio Berlusconi. Io avevo provato all’inizio a schierarmi con Mario Segni, degnissima persona di cui sono rimasto molto amico ma che non poté o non volle o non gli consentirono di fare il leader quando sembrava arrivato il suo momento. Mi dissero che il segretario della Dc Mino Martinazzoli gli avesse detto di fermarsi, ma non ne sono sicuro.

So soltanto che quando tutto era pronto per la presa del potere per via elettorale dell’ex Pci, ora PdS di Achille Occhetto, l’imprenditore Berlusconi e salti mortali e dando prova di una creatività sconosciuta alla politica, si inventò quell’alleanza fra leghisti del Nord e fascisti sdoganati del Sud, che fra loro non si potevano vedere ma che fecero blocco al punto tale che Berlusconi vinse con clamore quella prima volta. Io ancora non c’ero ma quando incontravo Berlusconi gli chiedevo sempre se scherzasse o facesse sul serio quando parlava di una rivoluzione liberale. E lui mi rispondeva con occhi raggianti che era lì proprio per farla. E io gli chiedevo come potesse farla con Bossi e Fini e lui rispondeva vediamo e andiamo avanti con chi c’è. E finì a rotoli. Ma le riforme? Faremo tutte le riforme. E ci provò seriamente, in effetti. Lo sappiamo: vinse subito e soltanto quel primo round, ma fu subito intortato con l’avviso di garanzia recapitato col Corriere della Sera per un reato del tutto campato per aria e che fu riconosciuto privo di qualsiasi prova dopo, ma che fece cadere e il governo e si ricominciò di capo. Quando Berlusconi apparve come un perdente – cacciato da Palazzo Chigi e sostituito prima dal governo dei tecnici, poi da Prodi, poi da D’Alema – politicamente in caduta libera, mi propose di andare al Giornale allora diretto da Maurizio Belpietro. Non avevo alcuna tessera, ero solo un cronista e andai vedere come si stava in un giornale di destra.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.