Cazzolate
Il paragone
Berlusconi e Trump, quelle vite parallele tra ricchezza e foggia delle chiome. Ma a divederli c’è l’odio
Con le consuete lucidità e capacità di analisi, Giuliano Ferrara ha voluto percorrere un tratto delle vite parallele tra Silvio Berlusconi e Donald Trump, attribuendo al Cav il ruolo di precursore con alcuni decenni di anticipo.
Trump e Berlusconi, sono ricchi e non rubano
L’analisi “tiene” sia nelle similitudini che nelle differenze. Le due personalità hanno caratteristiche comuni: lo sfoggio di ricchezza, il successo personale, requisiti che paradossalmente divengono una garanzia e un’attrattiva in un momento in cui l’antipolitica avvelena i pozzi del vivere civile. “Sono ricchi e non rubano”, così conquistano anche il consenso degli operai a cui riescono a trasmettere nuove chimere al posto di quelle travolte e oscurate dalla storia. Si tratta di bugie, illusioni, mistificazioni, ma non sono sostanzialmente diverse da quelle in cui miliardi di esseri umani sono stati indotti a credere per tutta la vita.
L’ingresso in politica di Berlusconi e Trump
Il loro ingresso in politica non è stato dettato da nobili ideali. Berlusconi scese in campo per salvare le sue aziende, minacciate da quelle forze politiche che il golpe giudiziario aveva voluto salvaguardare. Massimo D’Alema voleva mandarlo in giro con “il piattino” dell’elemosina; la sinistra Dc si era esibita con le dimissioni di ben cinque autorevoli ministri del governo Andreotti quando era stata approvata la legge Mammì, che apriva la strada alla tv commerciale. Il Cav intuì l’esistenza di una massa di voti alla ricerca di un rifugio; si sarebbe accontentato soltanto di un pacchetto di questi suffragi, che poi ottenne in massa, per potersi sedere al tavolo della grande redistribuzione del potere. Nel caso di Trump nessuno ha mai capito che cosa lo abbia spinto a candidarsi e come sia riuscito a vincere le elezioni contro Hillary Clinton, dopo la sbornia mondiale che aveva accompagnato i due mandati di Barack Obama come se costituissero un nuovo inizio della storia.
Sia Trump che Berlusconi hanno avuto modo di accusare gli avversari di aver rubato una vittoria nelle urne. Nel 2006 – attraverso una campagna elettorale forsennata – il Cav riuscì a recuperare un importante svantaggio di partenza, perdendo per un ridotto numero di voti che avrebbe meritato un conteggio di verifica delle schede; ma l’allora ministro degli Interni Giuseppe Pisanu non si volle prestare a quell’operazione. Berlusconi ottenne ben presto la rivincita – due anni dopo – con una strepitosa vittoria paragonabile a quella di Trump, ma che non seppe gestire perché impiegò tutte le proprie energie a difendere inutilmente sé stesso dall’assalto giudiziario a cui era sottoposto e dalla “trahison des clercs” di Gianfranco Fini.
Quando, nel 2011, arrivò il momento di arrendersi al Quirinale e alla Ue, Berlusconi accettò di rassegnare le dimissioni senza battere ciglio e divenne un fedele sostenitore del governo di Mario Monti. Per molti mesi – quando ci fu sentore di un malessere nel Pdl nei confronti del governo tecnico – il Cav scese a Roma per ristabilire l’ordine, fino a quando non decise a freddo che era venuto il momento di far cadere, attraverso una telefonata, l’esecutivo per andare alle elezioni anticipate.
L’ossessione per la foggia delle chiome
Un altro elemento comune dei due tycoons – a cui gli elettorati personali sono stati disposti a perdonare tutto – è l’ossessione per la foggia delle chiome. Mentre Berlusconi, però, si avvalse di collaboratori incaricati di aggiustargli le gaffe (Gianni Letta per quelle importanti, Paolo Bonaiuti per l’ordinaria amministrazione) all’insegna del “politicamente corretto”, Trump dà l’impressione di andarsele a cercare come linea e cifra di condotta politica. Il Cav, nonostante il suo cinismo, fu un “piacione” e soffrì per l’odio che gli riservò metà del paese. Trump usa l’odio come arma. Lo sollecita e lo coltiva; lo alimenta per motivi di potere. Ed è questo il messaggio più inquietante e universale della sua vittoria.
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