La polemica
Bersani, i 98mila euro dai Riva e la doppia morale della sinistra avvelenata con Renzi
Pierluigi Bersani si è accodato all’attacco mediatico che da giorni colpisce Matteo Renzi dopo la pubblicazione di entrate e uscite regolarmente registrate su un conto corrente estrapolato insieme a chat e telefonate non utilizzate nelle indagini ma inserite nel fascicolo depositato dell’inchiesta della procura di Firenze. A quel punto, dopo le accuse in tv ricevute da Bersani, che in quell’inchiesta è chiamato come teste dell’accusa, Renzi si è difeso. «Vorrei dire che prima di parlare di me e finanziamenti della politica – ha detto il leader di Italia Viva da Giletti- Bersani dovrebbe dire come mai lui prendeva soldi, legittimi, da Riva a Taranto. Se anziché finanziare lui e la sua campagna elettorale quei soldi fossero stati utilizzati per fare delle operazioni per Taranto, per l’ambiente e per il clima… Io i soldi non li ho presi da Riva come ha fatto Bersani, lecitamente preciso, io li ho portati con il mio governo, mettendo le risorse per andare a sistemare Taranto».
Renzi si riferisce ai 98mila euro, anche quelli legittimamente dichiarati, che Bersani prese come finanziamento alla sua campagna elettorale nel 2006 dai Riva insieme ai 50mila da Federacciai, 40mila da Toto, 15mila dal comitato nazionale Caccia, e diverse altre cooperative. Renzi non accusa Bersani di aver fatto una cosa illegittima, o inopportuna, o ancor peggio di aver ricambiato con un favore, un occhio di riguardo. Dice però “io i soldi non li ho presi da Taranto, ma li ho messi”. Anche questa è cosa vera. Tant’è che negli anni del suo governo, e della sua segreteria, grazie a Renzi attraverso i vari decreti sono arrivati a Taranto più di due miliardi di euro: un miliardo per il Cis, uno sequestrato ai Riva e vincolato alle bonifiche, 70 milioni per le attrezzature sanitarie, 70 per 52 assunzioni all’Arpa Puglia, 300 per attività sociali, 500 per il porto, 50 per i Tamburi, e altri ancora.
Sono cose di cui anche Bersani potrebbe andar fiero e prendersi merito, facendo ancora parte del Pd in quegli anni. E invece l’ha presa male: «Vedo che in rete e in tv la macchina spargiveleni disperatamente in cerca di correità, si occupa anche di me – ha risposto con un post su Facebook- Alle elezioni del 2006 (quando il mio ruolo di segretario del Pd era ancora nella mente di Giove) ebbi un sostegno davvero largo di molti industriali oltre che di associazioni, di cittadini, di lavoratori. Nessuno che allora risultasse imputato di qualsivoglia reato. Tutto svolto, ovviamente, secondo legge e tutto verificato dalla giurisdizione. Per capire meglio andrà ricordato che dal ‘96 al 2001 avevo fatto il ministro delle Attività produttive e dei trasporti. Una rapida scorsa ai giornali dell’epoca può bastare per farsi un’opinione sulle riforme di quegli anni e sul giudizio che ne derivò nel mondo della produzione e del lavoro. Era ben noto in quel mondo, inoltre, che nessuno aveva mai dovuto o potuto pagarmi un caffè né corrispondere a qualche mia richiesta impropria.
Se qualcuno della banda dei veleni vuole oggi mettere in dubbio la mia correttezza o la mia totale autonomia da qualsiasi condizionamento parli chiaro e non per allusioni e apponga cortesemente la firma. Imparerà a conoscermi meglio». Lo spirito industrialista e sviluppista di Bersani all’epoca era noto. Per certi versi lo rimpiangiamo ancora, oggi che invece pare essere stato soppiantato dal decrescismo come pegno per l’alleanza per il più a la page populismo ambientale. Lo stesso spirito industrialista e sviluppista con cui, per esempio, lo stesso Renzi, ormai causa di tutti i mali del mondo, è stato spesso criticato da quel populismo ambientale proprio per quei decreti con cui lui a Taranto i soldi li ha solo portati, senza averli mai presi. Anzi, cercando di risolvere problemi causati anche dalla politica in periodi precedenti al suo arrivo, quando la fabbrica produceva il triplo di oggi. Ed è servita un’inchiesta della magistratura per fermarla. Ma perché Bersani se la prende? I finanziamenti da lui ricevuti erano legittimi, Renzi lo ha detto subito. Non lo ha accusato né in tribunale né in televisione. Nessuno gli ha detto che si faceva pagare il caffè, né corrispondeva a richieste improprie. Questa insinuazione nasce solo se riguarda Renzi.
Perché lui non può farsi pagare 18 mila euro per uno speech da Alessandro Benetton? Perché se lo fa Renzi si fanno prime pagine, programmi tv, inchieste, spifferate, insinuazioni e cattiverie, e se invece lo fa chiunque altro diventa oggetto di minaccia di querela anche solo un caffè che nessuno ha insinuato? Purtroppo aver condotto a questo livello il dibattito pubblico fa levare gli scudi del garantismo se non del vittimismo contro lo sciacallo, proprio a chi di questi metodi ne fa pane quotidiano di attività politica e giornalistica per poi lamentarsene quando viene toccato personalmente. Nel 2006 esisteva ancora il finanziamento pubblico, e pure Bersani, come molti altri, già ricorreva a quello privato. Lecito e dichiarato. Senza nulla in cambio. Perché con Renzi diventa oggetto di discussione e attacchi? È la doppia morale della sinistra, anzi, di una parte della sinistra, quella che si ripulì con le cenere delle monetine di Craxi. Sperando non finisca nello stesso modo.
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