Abbiamo chiesto a Gianni Riotta, giornalista e saggista ed esperto di Stati Uniti, un affresco che dipinga bene i tumultuosi avvicendamenti politici americani. Partendo da quelli che riguardano l’immediato futuro dell’attuale presidente e della sua corsa a ostacoli per il bis alla Casa Bianca.

Per il New York Times Biden sta valutando il ritiro, anche se è arrivata subito la smentita della Casa Bianca. Cosa c’è di vero?
«Una quindicina di giorni fa è uscito il Wall Street Journal dicendo che il presidente stava poco bene, che molti dei suoi consiglieri stavano valutando il ritiro dalla corsa e che il presidente era molto rallentato. Anche a queste dichiarazioni sono succedute immediate smentite.
Che il New York Times esca con un articolo di questo tipo, senza che la stessa testata abbia ricevuto conferme interne al partito, è impensabile. Se pubblicano questo tipo di articolo è sottinteso che qualcuno gli ha parlato. Le dichiarazioni di Nancy Pelosi, che non è una democratica qualunque, ma è una colonna dell’establishment democratico, è una donna che è stata per anni al vertice del partito alla Camera, è una persona per la quale se accade qualcosa all’interno del partito, lei la viene a sapere. Quindi c’è in corso un dibattito dentro al partito democratico sull’idea di sostituire il presidente Biden come candidato dopo la scarsa performance durante il primo dibattito con Trump».

Cosa è cambiato dal dibattito tv ad oggi?
«Si è detto che il giro stretto del presidente cioè Jill, sua moglie, e gli uomini che fanno parte della cerchia più ristretta che sono Mike Donilon (grande consigliere), Ron Klain (il suo vecchio capo di gabinetto) e Ted Kaufman (una delle persone che più gli sta vicino), sono coloro che oggi lo ascoltano e che lui ascolta. Da fuori è impossibile dire che tipo di dibattito ci sia all’interno, ma che ci sia questo dibattito in corso è scontato».

Lloyd Doggett, deputato dem del Texas, è stato il primo a chiedere apertamente al presidente di ritirarsi. Nancy Pelosi ha rimarcato come “parlarne non sia un tabù”.
«Parliamo di politica. Facciamo un discorso scevro dalle psicologie e dal ruolo della moglie Jill. Questo è un gioco politico, ed è il gioco politico più duro del mondo. È ovvio che il presidente ha avuto una performance pessima che ha conseguentemente aperto il dibattito sul suo stato di forma. Questa però è stata la notizia del giorno dello scontro tv con Trump, poi dopo ci sono stati a cascata tutta una serie di altri sviluppi, il primo dei quali è che il NYT dice apertamente “ti devi ritirare”; il secondo è che Thom Friedman, firma di punta del Times e amico personale del presidente, dice “ti voglio bene ma ti devi ritirare”. C’è anche una terza notizia. Sulla Cnn il liberal Van Jones dice “il presidente non è più in grado di fare questa campagna elettorale”. Ci sono giornali che sono di orientamento più indipendente, più filo repubblicano – nella parte editoriale -, come il Wall Street Journal, che dicono “ti devi ritirare”. Time pubblica la prima in cui Biden esce dalla copertina. Non stiamo più discutendo della cattiva performance del presidente. Stiamo parlando di un movimento politico e delle voci progressiste e liberal del paese, che chiedono a Biden di ritirarsi. C’è una campagna in corso per far ritirare il presidente».

Il Wsj paragona Biden a Yoda (il vecchio saggio della saga cinematografica di Guerre Stellari), anziano ma ancora influente.
«Torniamo a parlare di politica. Per vincere le elezioni presidenziali hai bisogno di un sacco di soldi. Biden è seduto su 160-170 milioni di dollari stanziati per la campagna elettorale. Trump era molto indietro nel finanziamento e questo era un grande vantaggio per il presidente. Ma dall’avvenuta condanna il flusso di denaro per la campagna del Tycoon è ripartito, ancor di più dopo la performance televisiva del confronto alla Cnn, e da quando la Corte Costituzionale gli ha dato quella che praticamente è la totale immunità (per le questioni nate dopo le elezioni del 2020) – che sarà uno scudo anche per tutte le cose che farà dopo – i dollari sono continuati ad aumentare. I soldi ricevuti da Biden, però, non andrebbero automaticamente ad un altro candidato se dovesse sostituirlo in corsa. Se i democratici ad esempio dovessero nominare il governatore della California Gavin Newsom, non andrebbero a lui. Questi dollari sono, come dicono gli americani “earmark”. Cioè segnati con “l’orecchia alla pagina” ed assegnati al ticket Biden-Harris. O li prendono loro due, o non li prende nessuno. Questo è già un vantaggio straordinario. Sostituire Biden è un’impresa difficile».

I possibili ed eventuali candidati a sostituire il nome di Biden quali potrebbero essere? Il nome che salta fuori più di frequente è quello di Kamala Harris. Ma da un’indagine Ipsos-Reuters la persona che l’elettorato dem gradirebbe di più (e che potrebbe far saltare il banco) è Michelle Obama.
«È ovvio che Kamala Harris, essendo la vice presidente, è in pole position – anche perché “erediterebbe” i soldi -, è altrettanto ovvio che non è popolare né nel partito né l’elettorato, ma è anche ovvio che nel momento in cui viene candidata torna a prendere tutti quelli che votano democratico ereditando anche il 40% del voto dem che ora ha Biden».

Basta a battere Trump?
«Non so, non so se basta neanche a Biden. Però Harris non porta un pacchetto di voti in più. Detto questo non si può mai dire, potrebbe – una volta liberatasi di Biden – scatenarsi in campagna elettorale, diventando simpatica e umiliando Trump al dibattito. Vediamo. Non dimentichiamoci i tre governatori: Gretchen Whitmer del Michigan, J. B. Pritzker dell’Illinois che recupererebbe il voto ebraico e Newsom, che da giovane bello e atletico, messo sul podio accanto al 78enne Trump, ribalta il fattore età. Ma finché non c’è l’ufficialità del ritiro di Biden tutto questo dibattito è puramente speculativo».

Su Michelle Obama?
«Non si è mai presentata a un’elezione in vita sua, non ha mai raccolto il voto di una persona in vita sua, non ha mai fatto un dibattito politico in vita sua, l’ex presidente Obama ha detto varie volte “mia moglie non è interessata a correre”, ma è molto nota al contrario dei tre governatori. C’è da tenere anche sempre conto degli endorsment dei personaggi al di fuori della politica: quello della cantante Taylor Swift per esempio vale tantissimo, come vale quello di Kanye West. Detto questo io voglio vedere Michelle Obama che corre, ma la sua qualifica al primo dibattito quale sarebbe se non “la moglie di”?».

Molti sondaggi, tra cui l’ultimo della Cnn, non vedono grande distanza tra i due attuali candidati, ci si sarebbe potuto aspettare un distacco maggiore dopo la debacle televisiva del primo confronto?
«È necessario partire dalla vecchia teoria dello Yellow dog Democrat. Esserlo significa essere un democratico che vota democratico anche quando i democratici candidano un “cane giallo”. Il 40% degli americani si definisce così. Ma non basta a vincere, gli serve una certa percentuale di indipendenti, di centristi e magari di qualche repubblicano moderato per guadagnare la maggioranza come ha fatto Biden nel 2020 e come non fece invece Hillary Clinton nel 2016, che prese tutto il 40% dei democratici ma non prese i voti di Sanders o di Jill Stein dei Verdi. La sostituzione del candidato non serve quindi per guadagnare il voto degli Yellow dog Democrat, ma per quello degli indipendenti, centristi, e moderati».

Se vince Trump, se vince Biden o se vince addirittura il suo sostituto. Che scenari si aprono? Sul tavolo a stelle e strisce ci sono sempre molti dossier di politica interna e estera.
«Se Trump vince, Trump 2 non sarà come Trump 1. Per il primo mandato il presidente era in larga parte preoccupato dall’establishment, e lo si è visto da alcune nomine per esempio quella di Rex Tillerson come segretario di Stato e quella dei moderati come generali dell’esercito. Trump 2 non sarà così, non avrà più paura dell’establishment, anzi lo disprezza perché si è sentito tradito quando sosteneva che le elezioni erano state rubate e non è stato protetto. Sarà un Trump che posizionerà tutti i suoi uomini dove vuole, così come ha fatto alla Corte Suprema dove ha messo gente che espone la bandiera dei rivoltosi. Questi non sono giudici e basta, sono giudici trumpiani che è un’altra cosa. Che vogliono ribaltare le lunghe tradizioni di rispetto della separazione dei poteri. Vogliono che il presidente sia al di sopra della legge. Su Cina, Medio Oriente, Russia si vedrà un presidente che fa quel che vuole, che avrà un confronto molto duro con l’Europa e con la Nato. Il Biden 2 sarà molto simile al Biden 1. Più protezionista per difendere l’industria americana, non cambierà la politica internazionale. Chiunque sia invece il democratico che sostituirà l’attuale presidente bisogna invece vedere su che piattaforma corre e che tipo di slancio vuole dare. Oggi ancora non lo sappiamo ed è impossibile fare una previsione».