Il Presidente americano Joe Biden ha aggirato la decisione bipartisan del Congresso (che ha sospeso per il momento altri aiuti militari all’Ucraina pagati dai contribuenti) facendo arrivare a Kyiv e senza sfilare un solo dollaro dalla tasca del contribuente, un magazzino di oltre un milione di munizioni per droni iraniani destinate alla Russia e sequestrate per violazione delle sanzioni. Così Biden ha momentaneamente placato gli ucraini disperati per la saldatura fra Democrat e i repubblicani fedeli a Trump. Trump ha sempre sostenuto che Putin è libero di fare quel che vuole e che tocca agli avidi e lamentosi europei spendere per la propria difesa.

Non solo l’America, ma un po’ tutto il mondo occidentale sembra più annoiato che esausto dalla guerra in Ucraina, compresa l’atlantica Italia dove il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato che l’opinione pubblica ha cambiato umore. Resiste il Regno Unito, ma la Polonia ha fatto un passo indietro sostenendo che gli ucraini giocano sporco sull’esportazione del grano e che le armi polacche servono alla Polonia per difendersi dalla inevitabile nuova espansione russa verso le Repubbliche baltiche e alla riconquista dell’ex Granducato di Varsavia. La Polonia non è stata mai riconosciuta dalla Russia come un vero Stato indipendente: la sua nascita decisa a Versailles nel 1920, spinse immediatamente Lenin ad aggredire il nuovo Stato. I polacchi vinsero contro i commissari del popolo Stalin e Trotzki, ma ancora oggi Putin considera i polacchi dei sudditi ribelli all’impero dei Romanov.

Sembra di sognare un brutto segno, ma ciò che sta vincendo la guerra in Ucraina a logica è il ritorno sfrontato della logica delle grandi potenze tutte in marcia – comprese la Cina, la Turchia e il Giappone, verso i principi e i confini disegnati dal Congresso di Vienna nel 1815 dopo la fine di Napoleone. Quei principi e quella logica imperiale è la stessa oggi evocata con nostalgia dal centenario ex segretario di Stato americano Henry Kissinger perché quel capolavoro di equilibrio fu il più ordinato e stabile prima del grande disordine delle due guerre mondiali. Il vecchio e redivivo principio promosso a mano armata dalla Russia di Putin è: le grandi potenze devono tutelare il proprio cortile e nessuno deve ficcare il naso in casa altrui. In cambi – sostengono i repubblicani trumpiani – tutte le rotte del commercio devono essere libere e senza ostacoli né pedaggio.

Questo è il bivio di fronte al quale si trovano gli americani. Trump è il campione del nuovo vecchio ordine delle antonomie imperiali; e Biden con i Democrat sostiene l’ordine mondiale della supremazia anglosassone in fatto di democrazia. Per l’America, la guerra civile è in casa e va molto oltre le vicende giudiziarie di Trump o del figlio di Biden: “gli Stati Uniti non manderanno più un soldato a farsi massacrare per l’Europa” dice Trump. E i Think Tank di Washington che se si sceglie di non entrare direttamente in una guerra, è necessario spendere montagne di soldi per fermare il guerrafondaio di turno. Il precedente è noto. Fu necessario che Hitler, parecchi giorni dopo l’attacco giapponese alla flotta americana nelle Hawaii, decidesse di dichiarare lui guerra agli Stati Uniti. L’America non ne voleva sapere, dopo essersi svenata nel 1918 con un corpo di spedizione che determinò la vittoria contro tedeschi e austriaci. Secondo il presidente americano Woodrow Wilson sarebbe bastato garantire ad ogni etnia una bandiera le uno esercito per chiudere ogni conflitto. In questo modo L’America creò, con la Francia le condizioni per l’ascesa di Adolf Hitler e la. nuova guerra

L’Appeasement di Chamberlain e Daladier (la pace ad ogni costo) dopo la resa di Monaco è il ritorno alla logica secondo cui chi ha più morti nelle fosse e più cannoni da schierare, ha diritto di parola e di invasione.
Già tutto visto dopo la spartizione della Polonia nel 1939 quando i pacifisti manifestavano non contro Hitler e Stalin, ma contro Francia e Inghilterra costretti a una guerra che non volevano combattere.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.