Putin ha già perso la guerra” e le continue minacce del Cremlino di usare armi nucleari “non costituiscono una prospettiva reale”. Parole del presidente americano Joe Biden che da Helsinki, in Finlandia (al confine proprio con la Russia), al termine dei quattro giorni trascorsi in Europa (lunedì a Parigi, martedì e mercoledì a Vilnius per il vertice Nato), lancia un nuovo messaggio al presidente russo e ‘consiglia’ al capo della Wagner, Ievgheny Prigozhin, di “stare attento a ciò che mangia”, facendo riferimento al rischio che venga avvelenato dopo la rivolta (o presunta tale) che ha scatenato una purga negli alti ranghi militari russi.

Tornando al conflitto in Ucraina che va avanti da oltre 500 giorni, il presidente ha profetizzato che il conflitto non può durare anni, perché la Russia “non può mantenerlo per sempre… in termini di risorse e capacità”, e che lo stesso Putin prima o dopo deciderà che “non è nell’interesse del Paese” continuarlo.

La speranza del presidente americano è che la controffensiva ucraina faccia progressi e che “spinga ad un accordo negoziato”. Sulle minacce nucleari, aggiunge: “Non solo l’Occidente, ma anche la Cina e il resto del mondo hanno detto ‘non andate su quel terreno’“.

Sul fronte bellico Kiev conferma l’arrivo delle bombe a grappolo inviate dagli Stati Uniti. Alla Cnn il generale Oleksandr Tarnavskyi spiega che “le abbiamo appena ricevute, non le abbiamo ancora usate, ma possono cambiare radicalmente la situazione sul campo di battaglia”. All’esercito di Kiev arriveranno, dopo il vertice Nato a Vilnius, oltre 1,5 miliardi di euro in aiuti militari, stando a quello che ha stimato il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov. Tra questi aiuti per ora non compaiono i jet da guerra F-16, anche se il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, si è detto fiducioso che “l’Ucraina riceverà gli F-16 nei tempi previsti.

Intanto dopo l’azione del gruppo Wagner dello scorso 24 giugno, con la pseudo-marcia su Mosca, secondo le rivelazioni del Wall Street Journal a poche ore dall’inizio dell’ammutinamento, 13 alti ufficiali sarebbero stati arrestati e tra loro ci sarebbe anche il generale Sergei Surovikin, sparito proprio da quel giorno dalla scena pubblica. Altri 15 ufficiali sarebbero stati sospesi o licenziati in un tentativo del governo russo di allontanare eventuali collaboratori e di, secondo le fonti del Wsj, “ripulire i ranghi di coloro di cui non ci si può più fidare”. Il generale russo Ivan Popov rientra in questo elenco. È lui stesso, in un audio diffuso da un generale in pensione, a raccontare di essere stato cacciato per aver parlato durante una riunione delle difficoltà delle truppe di Mosca. “L’esercito ucraino non è riuscito a sfondare le nostre difese, ma i vertici ci hanno colpito alle spalle, decapitando a tradimento e vigliaccamente l’esercito nel momento più difficile”, ha raccontato, “gli alti ufficiali mi hanno visto come una minaccia e hanno rapidamente emesso un ordine per sbarazzarsi di me, che è stato firmato dal ministro della Difesa in un solo giorno”. “Ho dovuto decidere se tacere e comportarmi come un codardo, dicendo quello che volevano sentirsi dire, o chiamare le cose con il loro nome”, si è sfogato Popov, “non avevo il diritto di mentire per il bene dei nostri compagni caduti”.

Redazione

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