Usa in bilico
Biden verso la vittoria, ma è sfida fino all’ultimo voto (postale)

Secondo le ultime notizie in arrivo da Michigan e Wisconsin, Biden sembra a un passo dal traguardo. E, come in parte previsto, gli stati chiave per la riconquista della Casa Bianca da parte dei democratici si trovano nel cuore dell’America industriale e operaia. Grande l’affluenza ai seggi, al punto che, quando i calcoli saranno finalmente definitivi, Trump potrebbe contare un aumento dei propri voti rispetto al 2016. Un risultato insufficiente per contrastare Biden, che potrebbe diventare, a sua volta, il democratico più votato nella storia.
Una corsa molto più difficile del previsto: Trump è stato fino all’ultimo un osso duro, ancora molto amato dai suoi. Proprio per questo ieri Margaret Sullivan, editorialista del Washington Post, sosteneva: «Almeno una cosa è certa: non è andata come ci aspettavamo». Non sapere il nome del presidente eletto immediatamente il giorno dopo il voto non è poi così grave, si dirà. Ma questa volta, spiegava la Sullivan, abbiamo imparato che «non dovremmo mai più dare tanto peso ai sondaggi come ci siamo abituati a fare». In effetti, i democratici si aspettavano che Biden vincesse in modo schiacciante e che alcuni stati cruciali, tradizionalmente rossi (cioè repubblicani), come Ohio e Florida potessero finalmente tradire la loro stessa storia. Ma non è accaduto. Nella sfida per il senato, Jaime Harrison in South Carolina e Amy McGrath in Kentucky, hanno raccolto circa 200 milioni di dollari in tutto per strappare lo scranno ai repubblicani Lindsey Graham e Mitch McConnell. Ma sono stati spazzati via. Anche gli sfidanti democratici in Iowa e Montana hanno perso. «Nonostante i numeri da record della raccolta fondi, le speranze del partito democratico di avere una netta affermazione al senato sembrano svanite», assicura Eric Bradner della Cnn. E adesso si attendono buone nuove da molte sfide ballerine.
Secondo la Sullivan, inoltre, «i media non hanno svolto un buon lavoro nella comprensione del voto dei latinoamericani». Anche per questo i Dem hanno fallito una delle sfide più rilevanti: la conquista della Florida e del Texas, due stati dove il voto degli elettori ispanofoni è determinante e che danno a Trump un “tesoretto” di ben 67 grandi elettori. Nikole Hannah-Jones del New York Times ha twittato: «Un giorno dopo la fine di queste elezioni scriverò un articolo su come quella dei latinos sia una categoria etnica artificiosa che raggruppa erroneamente cubani bianchi con portoricani neri e guatemaltechi indigeni». Fa eccezione l’articolo di Christian Paz per l’Atlantic – “What liberals don’t understand about pro-Trump latinos” – che ha spiegato bene tutto ciò che i democratici non capiscono di questo segmento della popolazione. Soprattutto, però, i democratici sembravano ancora incapaci di prendere le misure di un presidente che è straordinariamente bravo nel raccontare bugie e nell’assegnare etichette ingiuriose ai suoi avversari politici. Ma che, proprio in questo modo, può contare su una larga platea di adoratori.
Insomma, per molte ore durante la giornata di ieri sembra riapparire l’incubo del 2016, nonostante stavolta non ci sia più Hillary Clinton, l’antipatica sulla quale scaricare le colpe, ma quel brav’uomo di Joe Biden, maschio bianco, dignitoso, affidabile e rispettabile.
Le dichiarazioni dei due sfidanti di ieri mattina (ora italiana) manifestavano l’incertezza del momento. Trump l’ha sparata grossa com’è nel suo stile: ho vinto, ma se non vinco per causa del voto postale mi appello alla Corte Suprema. Biden ha detto la verità: la vittoria è possibile, ma dobbiamo avere la pazienza di aspettare fino all’ultimo voto. Eccolo, il voto postale, croce e delizia di queste elezioni. Probabilmente il motivo per cui saranno ricordate nella storia. Ancora una volta il Covid ha fatto la sua parte: per paura del contagio molti cittadini statunitensi hanno pensato di non fare la fila ai seggi, ma di usare uno strumento più sicuro. E comunque la forte polarizzazione ideologica ha scatenato la partecipazione di tanti. Alla fine, ben 100 milioni di elettori, pari al 73% del totale degli elettori del 2016, hanno votato per corrispondenza. Un numero mostruoso che dimostra contro tutti i gufi lo stato di ottima salute della democrazia americana. Per contare tutti questi voti potrebbe servire molto tempo.
Alla Pennsylvania – dove si svolgeva una delle sfide decisive – potrebbero servire più giorni del previsto. Per completare le operazioni di scrutinio sarà necessario attendere almeno fino a domani, venerdì 6 novembre. Il risultato finale resta per questo appeso a un filo? Pare proprio di no. Anche se per una manciata di voti elettorali, le buone notizie sono tutte per Joe Biden. Nel momento in cui scriviamo, il candidato democratico sembra aver conquistato tre stati come Nevada, Arizona e New Mexico, colorando di blu una larga fascia del campo di gioco comprensiva della California, roccaforte democratica capace di esprimere ben 55 grandi elettori. Per il mite Joe la conquista dell’ovest, fino al confine con il Messico, sembra cosa fatta. Risultato che, nei tre stati citati, ribalta la vittoria di Trump del 2016.
L’altro fronte aperto della sfida era nella Rust Belt, ovvero la “cintura di ruggine”. L’appellativo fotografa il declino economico, lo spopolamento e il decadimento urbano provocati dalla crisi del settore industriale, tradizionalmente forte in quest’area. La “cintura di ruggine” inizia nella parte occidentale dello Stato di New York, attraversa la Pennsylvania, l’Ohio, l’Indiana, il Michigan e risale dall’Illinois e dall’Iowa fino al Wisconsin. È il cuore industriale dell’America. Quattro anni fa, approfittando della crisi economica e sociale, Donald Trump fece man bassa di voti, conquistando la gran parte di questi stati operai. Nel momento in cui scriviamo Joe Biden ha già riconquistato il Minnesota, l’Illinois e, in serata, il Wisconsin. Potrebbe farcela per un soffio anche nel Michigan.
Ma Trump resta ancora avanti in Pennsylvania. Per motivi storici, la Pennsylvania è da sempre soprannominato Keystone State (Stato “chiave di volta”), ma questa volta i suoi 20 grandi elettori potrebbero non essere più decisivi. Trump può contare su circa tre milioni di voti, circa 700 mila più di Biden. Ma devono ancora essere scrutinate le schede arrivate per posta. Grazie alle quali i democratici sperano di colmare il gap. Tutto il mondo in queste ore si chiede se ce la faranno. Ma nel frattempo la Rust Belt è ritornata nella casa democratica.
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