Il caso
Bimba morta per il Blackout challenge, il Garante pronto alla guerra contro TikTok
Una bambina di 10 anni partecipa ad un challenge sul web e muore. La notizia che ha sconvolto l’Italia ha riportato l’opinione pubblica ai tempi della Blue whale e di altre sfide da fare online al limite della integrità umana. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, la piccola avrebbe partecipato al Blackout challenge utilizzando la corda dell’accappatoio per restare senza aria e vincere la sfida. Il tutto sarebbe avvenuto via TikTok, la piattaforma social cinese dove i più piccoli si ritrovano insieme ai grandi cimentandosi in prove di ogni genere.
Purtroppo, però, la ragazzina è rimasta senza aria da farle smettere il “gioco” e, senza oramai più forze, è caduta in un coma dal quale non si è più svegliata. Noi del Riformista abbiamo pubblicato tempo fa una ricerca OSINT sulla presenza del fenomeno di Jonathan Galindo che, in occasione del suicidio di un ragazzino napoletano, era stato gonfiato in modo errato dai media, perché privo di un reale fondamento, da renderlo addirittura un fenomeno dilagante su scala mondiale e insinuandolo nella conoscenza della massa ignara fino a quel giorno.
Discorso diverso per il Blackout challenge, che ha già fatto una vittima in Italia ed è il caso di Igor: un ragazzo morto anche lui soffocato da una corda che egli stesso aveva messo al collo ed anche lui morto di asfissia perché rimasto senza quelle forze utili a liberarsene.
“Molti possono credere che questo fenomeno possa derivare dal Darkweb, ma non è così” spiega al Riformista Livio Varriale data journalist e autore, tra l’altro, di un manuale di sopravvivenza per i genitori online per far fronte ai rischi dei propri figli. “Più volte mi tocca constatare che si spettacolarizzano determinati fenomeni accostandoli al lato del web oscuro, ma anche questa volta posso smentire che su diversi motori di ricerca compare poco o nulla e non certamente dei manuali per svolgerlo. Così come spesso si cerca di trovare un colpevole nel mondo esterno e non sempre c’è. Su Twitter, Facebook ed altri social media non si trova una correlazione diretta nell’ultimo anno con fenomeni di blackout challenge. In un anno sul social del cinguettio appena 791 tweets di cui 500 riferiti a picchi del momento in base a determinate notizie e Twitter rappresenta l’unico social ufficiale vietato ai minori per intenderci. Facebook e Instagram sono prive di questa parola chiave e di tutte le sue declinazioni semantiche. Resta quindi scoprire il nodo TikTok, ma è difficile fare ricerche in merito per via della sua natura”.
Ad essere sotto attacco per questo ultimo caso tocca alla piattaforma cinese TikTok, pronta nel mandare un comunicato di condoglianze alla famiglia della povera vittima, che Varriale definisce “una cloaca. Un posto dove i più piccoli vivono lo spazio virtuale insieme ai grandi e vengono educati nel mettersi in mostra e la cosa tragica è che sono gli stessi genitori ad inserirli in un mondo ad alto rischio di pedofilia come più volte ho denunciato. Anche il Governo, dopo due anni, si è reso conto del rischio con il Garante della Privacy. Se i dati degli adulti sono già compromessi tra social e Dataleaks, vogliamo anche consegnare quelli dei nostri figli alle multinazionali straniere educandoli a paradigmi di vita squallidi, come quello che ho trovato facendo una ricerca veloce di una sfida a chi si beve una bottiglia di superalcolico in un sorso solo?”.
Il Garante della Privacy appena un mese fa ha avviato un procedimento contro il social network ed il commento di uno dei suoi rappresentanti del collegio, Guido Scorza, riporta che “è arrivato il momento di tenere i bambini fuori dai social media per adulti”, peccato però, che TikTok sia stato sdoganato più volte dai media e dalle istituzioni per essere un social network per bambini. Bene ha fatto il Garante della Privacy appena insediatosi ad iniziare un percorso di valutazione, ma sarà difficile ripristinare l’ordine che come sostiene Varriale “tra i buoni propositi di tutti c’è quello di educare digitalmente i bambini, ma il vero dramma sono i loro genitori. Nessuno pensa a loro eppure abbiamo casi di adulti esposti a tantissimi reati informatici, più dei loro figli, ai quali trasmettono la stessa superficialità nella gestione dei dispositivi digitali”.
Al netto delle informazioni che si hanno al momento nulla prova che la bambina sia stata istigata al suicidio o che abbia partecipato a una sfida. Oltre all’ipotesi del suicidio, sarebbe forse anche il caso di iniziare a domandarsi se, dinanzi a una assenza riscontrabile sui social, sia più probabile che si emuli un fenomeno solo per la sua portata mediatica come nel caso di Galindo e forse anche della blackOutChallenge.
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