È uno dei casi in cui gli studi, le analisi e le sia pur iniziali ricerche abbondano, ma non si passa ancora a trarne le conseguenze sul piano delle regole e dei controlli. A giorni alterni si lanciano allarmi che, però, restano inascoltati da chi – organi, istituzioni nazionali e internazionali – dovrebbe assumere al riguardo coerenti decisioni. Ci si riferisce alla cosiddette criptovalute o valute virtuali che vengono scambiate secondo un tasso di cambio, per esempio, con l’euro o il dollaro su piattaforme on-line e che, in effetti, non sono vere e proprie monete, ma asset speculativi, come ormai sia la Federal Reserve, sia la Bce le definiscono.

Sono diverse migliaia, nel mondo, i cripto asset, in particolare i bitcoin ma anche gli stablecoin strettamente legati a una valuta a corso legale, negoziati su piattaforme il numero delle quali è in crescita. I “bitcoin”, come accennato, non essendo una moneta legale, non hanno potere liberatorio o solutorio nelle transazioni; non vige, dunque, l’obbligo della loro accettazione nelle negoziazioni. Solo nel Salvador il bitcoin è stato elevato al rango di moneta legale. In alcuni Paesi, invece, è stato dichiarato come non impiegabile nelle transazioni, in sostanza, illegale. Finora, le autorità monetarie hanno lanciato caveat sui rischi dell’investimento in questi asset, data l’oscillazione frequente del loro valore, nonché l’inesistenza di un’adeguata trasparenza su come si formano e sulla loro negoziazione. In particolare, mancano tuttora, come si è accennato, regole e controlli.

In questi giorni, l’argomento è tornato di attualità in relazione ai riflessi sui mercati dell’andamento e delle previsioni dell’inflazione, nonché della corrispondente rilevata volatilità dei bitcoin. Concorrono anche le ripercussioni della guerra della Russia contro l’Ucraina e le sue prospettive. È da circa due anni che soprattutto il presidente della Consob Paolo Savona insiste sulla necessità di un intervento normativo a livello europeo e internazionale, non mancando di rappresentare pure le problematiche nel campo digitale che si presentano per poter accedere alla conoscenza della formazione di questi asset e, dunque, per evitare che l’auspicata regolamentazione diventi l’Achille che insegue la tartaruga (dello sviluppo delle tecnologie, in questo caso) senza mai raggiungerla, come nel paradosso di Zenone di Elea.

A livello europeo, sono in discussione tre ipotesi di regolamenti sul fintech in generale che affrontano anche la materia ora in esame. Per la sua efficacia, data la diffusione del fenomeno a livello globale, una disciplina dovrebbe essere adottata – anche se si è in ritardo – in campo internazionale, partendo, ad esempio, dal G7 e dal G20. Poi vi è la competenza europea che comunque, in mancanza di misure globali, dovrebbe accelerare l’adozione di un’adeguata regolamentazione: un’esigenza, questa, che finora non sembra essere stata colta come si dovrebbe. Ma, se ai predetti livelli non si arriva colpevolmente a risultati in tempi brevi (che sono lunghi se si pensa da quanto tempo sarebbe stato necessario agire), allora, pur nella convinzione della parzialità della misura e della sua efficacia, una disciplina del fenomeno bisognerà adottarla a livello nazionale. L’avere istituito un albo, nel quale debbono iscriversi coloro che operano in questo campo, è un piccolo passo avanti, ma privo della necessaria efficacia se mancano regole e vigilanza sull’operare.

Tutt’altra cosa è, invece, il progettato euro digitale, innanzitutto perché sarà una moneta a corso legale che si affiancherà a quella cartacea con l’osservanza di criteri e limiti, sulla cui istituzione si sta lavorando nella Bce sotto il coordinamento dell’autorevole componente italiano del Comitato esecutivo, Fabio Panetta, il quale, nei giorni scorsi, ha esposto un’analisi efficace dei rischi dei cripto-asset. Leggeremo, sperabilmente nelle Considerazioni Finali che il governatore di Bankitalia leggerà nell’incontro del prossimo 31 maggio, la posizione che l’Istituto non dovrebbe trascurare di esporre in questo campo. Comunque, è l’ora di agire. Già in altre epoche della storia si è evitato che alcuni fenomeni si stabilizzassero e sviluppassero senza norme regolatrici (titoli atipici, fondi comuni di investimento). Nel frattempo, la panoplia per intervenire da parte dei Governi, dei Parlamenti, delle Autorità monetarie è aumentata. Il fenomeno in questione non può rimanere ancora senza risposte: lo impone, prima di tutto, l’art.47 della Costituzione sulla tutela del risparmio.