Tra i provvedimenti “critici” adottati dal Governo Meloni nella manovra finanziaria del prossimo anno, l’aumento dell’imposizione fiscale sulle criptovalute è di certo quello che sorprende più di tutti. In attesa di leggere i dettagli della misura, ricordiamo che il vice ministro all’Economia, Maurizio Leo, spiega: “Un tema importante riguarda le plusvalenze da bitcoin (…): prevediamo un aumento della ritenuta dal 26 per cento al 42 per cento”. Una crescita di ben sedici punti percentuali. Un provvedimento che le aziende italiane che operano nel settore, cioè che forniscono servizi di compravendita di valute digitali, non tardano a definire “punitivo” se non addirittura “suicida” come afferma Andrea Ferrero, numero uno e fondatore di Young Platform che si occupa di trading in cripto.
I numeri
La cosa che colpisce, però, è l’assenza di un dibattito intorno a questa misura. Se il Paese ha discusso, e discute ancora, da oltre due anni di extra profitti, dei vantaggi delle banche e del perché non bisogna tassare ulteriormente gli istituti di credito, sull’aumento della ritenuta per questo tipo di operazioni nessuno ne parla. Ad aiutare la mancanza di discussione è probabilmente il numero limitato di italiani che investe nella compravendita di cripto o di strumenti ad essi collegati. Come si evince dai dati resi noti dall’Organismo Agenti e Mediatori, nel corso del secondo trimestre del 2024 sono circa 1,3 milioni gli italiani che detengono cripto valute nei loro portafogli di investimento. Si tratta di un valore di 2,2 miliardi di euro in calo di circa il 22 per cento rispetto al primo trimestre quando il controvalore era di 2,7 miliardi di euro.
Nel corso dei primi sei mesi dell’anno, inoltre, sono state comprate valute digitali per 1,76 miliardi di euro, mentre sono state vendute criptovalute per più di 3,5 miliardi di euro. Perché tante vendite? Semplice: negli ultimi dodici mesi il valore delle valute digitali è cresciuto vertiginosamente. Dall’Esecutivo, pertanto, hanno pensato bene di fare un po’ di cassa mettendo nel mirino del fisco le plusvalenze realizzate nel comparto. Pur se il numero sembra importante, 3,5 miliardi di euro di vendite, non tutte le operazioni generano plusvalenze. Molte sono dettate dalla necessità di avere un portafoglio di investimenti in equilibrio.
Tassazione in Europa
Con questo provvedimento, l’Italia otterrebbe il poco invidiato record di Paese con la più alta tassazione sul questo tipo di asset; record detenuto insieme alla Danimarca: il 42 per cento, appunto.
In Germania, l’aliquota è del 26,4 per cento; in Spagna stiamo al 28 per cento; in Norvegia essa ammonta al 37,8 per cento e in Francia e Finlandia pari al 34 per cento. Il paradiso per questo tipo di operazioni è la Svizzera che non le tassa per niente mentre in Inghilterra siamo al 20 per cento.
Conseguenze
Seppure non direttamente dichiarato, l’intento che emerge è punitivo. Un po’ come l’imposta di scopo sulle sigarette, le transazioni in criptovalute vengono viste dal Governo come qualcosa da poter tassare senza temere le conseguenze. Per non parlare del fatto che la norma genera qualche paradosso. Se infatti si acquisiscono Etf che investono in bitcoin, come saranno tassati? Gli Etf, cioè sono fondi di investimento quotati sui mercati, attualmente sono tassati al 26 per cento. Con la nuova norma, cosa accadrebbe?
La prima conseguenza di questa norma è a breve. È facile prevedere un rapido disinvestimento di criptovalute in Italia al fine di conseguire plusvalenze da tassare a meno. La seconda, più a lungo termine, farà in modo che i gestori di questo tipo di attività, gli investitori e i trader si tengano lontani dal nostro Paese. Mentre gli Stati Uniti si preparano a diventare uno dei più grandi hub di cripto al mondo, come prevede il programma di Donald Trump, o in ogni caso a favorire gli investimenti in questo comparto, come invece ha in mente Kamala Harris, in Italia le trattiamo come cose difficili da capire ma facili da tassare.
In effetti, un simile atteggiamento non dovrebbe meravigliarci: siamo uno dei Paesi dell’Ocse a più bassa diffusione della digitalizzazione e a più alto tasso di analfabetismo finanziario. L’aumento della imposizione sui Bitcoin è una naturale conseguenza del combinato disposto di questi due elementi. Ogni qualvolta nasce una innovazione, in Italia la si guarda con gli occhi di chi considera il futuro quasi una diavoleria. Ora tassiamo le cripto, domani torneremo alle grida a Piazza Affari? Non sia mai che l’intelligenza artificiale voglia dominare il mondo.