Platì è un piccolo centro collocato alle pendici dell’Aspromonte. Metafora della Calabria profonda ma non sconosciuta ai media nazionali. Di Platì s’è molto parlato nella stagione dei sequestri di persona ma anche per la più che discutibile “operazione Marine” che ha portato in carcere centinaia di innocenti. Per la democrazia sospesa. Per sindaci arrestati o ammazzati. Una morsa che stringe la Calabria tra uno Stato ottuso ed, a volte, complice ed una ndrangheta sempre più forte.

Ogni tanto i media nazionali scendono in Calabria e cercano disperatamente la ‘ndrangheta per come confezionata dal circuito mediatico giudiziario dominante, adatta quindi a trasformare il dramma che come un macigno pesa sul popolo calabrese in un godibile format da vedere seduti comodamente sul divano di casa. Uno sketch folkloristico.
La settimana scorsa è stata la volta dei giornalisti di Striscia la notizia che arrivano a Platì e puntano direttamente alla chiesa del SS. Rosario scortati da carabinieri armati e con tanto di giubbotto antiproiettile. Trovano subito la prova regina della collusione tra mafia, popolo e parroco: una statuetta dell’Arcangelo Michele collocata nella chiesa del SS. Rosario con vicino una targhetta ex voto con su scritto: «Alla Beata Vergine del Rosario in Memoria di Pasquale e Francesco Barbaro 25 marzo 2015». Si tratta di due vittime di un incidente stradale avvenuto nel 2014. Erano padre e figlio. La loro morte ha suscitato una grande commozione in paese ed i funerali sono stati officiati dal vescovo della diocesi e dai due parroci del paese.

La famiglia delle vittime chiede che al posto del tradizionale invio di fiori, i soldi raccolti venissero destinati al restauro di una statua della Madonna ed alle suore del paese. Successivamente il consiglio pastorale decide di trasferire la statua restaurata nella chiesa Matrice. Nello spazio rimasto vuoto un gruppo di preghiera di donne che, da moltissimi anni, ogni lunedì, si riunisce in chiesa per pregare San Michele Arcangelo chiede che venga collocata una statuetta dell’Angelo a cui sono devote sin dalla notte dei tempi. La targhetta rimane dov’era. Ed a questo punto il cerchio si chiude ed ogni tassello va al suo posto per comporre il puzzle della “Calabria criminale” che tanto piace ai benpensanti. Il parroco che ha consentito l’atroce misfatto è don Giuseppe Svanera, un sacerdote lombardo con quaranta anni di missioni in Amazzonia e nei paesi del terzo mondo. Oggi fortemente indiziato di aver consentito che in Chiesa fosse collocata la Statuetta di San Michele Arcangelo, protettore della ‘ndrangheta.

La prova regina è la targhetta delle due vittime dell’incidente il cui nonno e padre ha avuto una condanna per mafia. Bisognerebbe riesumare i loro corpi e processarli come usava fare la Santa Inquisizione. E con loro bisognerebbe processare don Svanera reo confesso di pregare anche dinanzi alla “statua infame” e addirittura di invocare Dio per la conversione dei mafiosi e per l’anima di tutti i defunti. Ndranghetisti compresi. I giornalisti di Striscia non possono andarsene senza dimostrare la potenza dei media e così si recano dal vescovo ed ottengono la rimozione della targhetta come primo tributo alla nuova caccia alle streghe. Le conclusioni di quanto accaduto le facciamo trarre proprio a don Giuseppe Svanera: «La popolazione è scossa, arrabbiata. Purtroppo anche questa volta chinerà la testa perché ormai non ha più la capacità di reagire. Forse si limiterà a ingoiare il rospo ancora una volta o forse giungeremo alla conclusione che ormai non ci resta che ridere…». Riso amaro di fronte a un sistema che ha fatto dell’antimafia la sua bandiera per giustificare ingiustizie, soprusi e inadempienze. Con segni falsamente “profetici” continua a ingannare la gente, la brava gente che si ritiene giusta e onesta e condanna inesorabilmente i mafiosi del Sud e in particolare della Calabria e di Platì.

«Gli inquisitori hanno ormai il cervello asciugato, paralizzato, congelato. Vogliono dimostrare che la Calabria è solo mafia e che la chiesa, unica istituzione ancora, non sempre purtroppo, vicino alla sensibilità del popolo, è connivente e legata alla stessa. E più di uno, anche nella Chiesa, ci casca… Si interpretano come esposizione mafiosa i sentimenti di una comunità che onora i suoi morti. Si condanna la devozione popolare come superstizione e a favore della delinquenza. E intanto si chiudono gli occhi sulla triste realtà sociale e economica dovuta alla mancanza di lavoro, amministrazioni corrotte, commissariamenti assurdi e inefficaci, strutture deficienti o addirittura inesistenti, una giustizia profondamente ingiusta, e il dolore di un popolo perennemente criminalizzato e quindi emarginato. A noi mantenere la speranza nonostante tutto».