Per respirare l’aria di una buona politica occorre uscire dai circuiti salottieri mediatici e dai mestieranti in servizio permanente. È la considerazione che sgorga spontanea al termine della conversazione con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. “Il pezzo che manca nella gran parte del racconto mediatico e politico convulso e a tratti asfissiante di questi giorni sta proprio nel dare un nome e un volto ai senza volto. Ascoltandoli, e solo ascoltandoli, appare chiaramente che i rifugiati e gli immigrati non sono soltanto bisogni a cui rispondere, ma sono persone a cui non solo stiamo negando un futuro, ma a cui stiamo negando la dignità”. E un passo della lettera aperta scritta da padre Ripamonti al direttore di Avvenire. Era il 16 agosto del 2017. Sembra oggi.

I migranti continuano a morire nel Mediterraneo e nel deserto sahariano. Ma in Italia non fanno notizia. Forse perché non votano?
Il tema delle migrazioni nell’agenda della campagna elettorale sta rientrando ma con una modalità strumentale, non affrontando con serietà e umanità i problemi dei migranti, i morti in mare o nella traversata del Sahara, ma piegando il tutto alle problematiche che riguardano il nostro Paese, cioè gli arrivi. Abbiamo già sentito alcuni esponenti politici che si candidano alla guida dell’Italia ritirare fuori la questione dei blocchi navali, che sono fuori dal diritto internazionale, o richiamare quei decreti sicurezza che hanno creato più attriti che affrontato il problema dell’immigrazione.

È corretto dire che i migranti “irrompono” nel dibattito politico solo quando vengono narrati come minaccia?
Ci si ricorda di loro in modo strumentale. In questi ultimi tempi la preoccupazione, sia dell’informazione sia degli italiani, è stata legata a quella che è stata la pandemia con le sue conseguenze non solo sul piano sanitario ma anche su quello sociale ed economico, e poi alla guerra e alla crisi economica che da essa deriva, legata agli approvvigionamenti delle materie prime, in modo particolare di quelle energetiche. Questi erano stati i temi, dimenticandoci di quelli che erano le questioni legate alle migrazioni. Adesso ritornano in modo strumentale. Ci si ricorda di loro utilizzandoli come strumenti di propaganda e non cercando, come a mio avviso dovrebbe essere, un programma a lungo termine che includa il tema dell’immigrazione nell’agenda politica.

Sono agitati come minaccia, ridotti a meri numeri. Non c’è qualcosa di disumano in questo?
Fa male constatare come il dibattito politico e mediatico si occupi dei migranti e dei rifugiati senza quasi mai mettere a fuoco chi sono, quali storie hanno, che sogni e aspirazioni li spingono a rischiare la vita verso luogo dove li rifiutano come pietre di scarto.

Fame, siccità, guerra, apartheid vaccinale praticato nei confronti dei popoli del sud del mondo, in particolare dell’Africa. Queste sono questioni dirompenti, sfide epocali.
Ma noi abbiamo ridotto la politica ad angusti spazi d’interesse personali o a una pratica che riguarda specifici settori. Abbiamo perso invece quella visione politica che dovrebbe avere uno sguardo internazionale. Dovrebbe averlo, non foss’altro perché negli ultimi anni ci siamo sempre più resi conto di una dimensione globale dei fenomeni, che se non vengono affrontati tenendo conto della loro internazionalità, dei loro legami in questa interconnessione generale, rischiano di non permetterci di avere uno sguardo programmatico sul futuro che sia veramente incisivo. Pensiamo alla questione climatica. Se l’affrontiamo in modo provinciale, senza cominciare a chiederci, anche a livello internazionale, le conseguenze che i cambiamenti climatici possono avere, come già stanno avendo, a livello globale e nazionale, rischiamo di non essere incisivi nelle nostre politiche e soprattutto di mancare di una visione sul futuro.

Il fatto che la politica non recepisca queste tematiche e le aspettative, oltre che le ansie, ad esse legate, non ritiene che sia una delle ragioni fondamentali del distacco, quasi abissale, dei giovani dalla politica tradizionale e dai partiti?
Sicuramente questo è uno degli elementi del “disamore” delle giovani generazioni rispetto ad una politica che non s’interessa di quelli che sono i problemi che riguarderanno il futuro non solo del nostro Paese ma del mondo intero. Io credo che questo distacco sia legato anche alla percezione da parte dei giovani di una politica che non sa alzare lo sguardo verso un orizzonte. Una politica che non sa recuperare quelli che sono gli ideali, il sogno, l’utopia di un mondo diverso, di un mondo migliore. I giovani sono molto sensibili a sognare, a guardare a un futuro diverso da quello che sembra attenderli.

Papa Francesco è tornato di recente a denunciare lo “scandalo” del commercio delle armi che sta dietro ogni guerra.
Sappiamo che le armi muovono una quantità di denaro impressionante. Interessi legati alle guerre come anche a un commercio nazionale: pensiamo agli Stati Uniti e alle lobby con la difficoltà di cambiare leggi legati alle armi che pure seminano migliaia di morti nella popolazione civile. Tutto questo ci dice che questi interessi sono così consolidati e potenti da non voler cedere il passo a quegli ideali, agli obiettivi e alle prospettive di pace che il Papa richiama. Finché non ci stacchiamo da questi interessi, non rassegnandoci a subire uno “scandalo”, come sottolinea Francesco, che produce morte e distruzione, non arriveremo mai ad una vera pace, perché non la vogliamo.

In campagna elettorale, tutti i partiti parlano di programmi. Partendo dall’esperienza ultraquarantennale del Centro Astalli, di cui lei è il presidente, se dovesse chiedere un punto qualificante, per chi fosse interessato a raccoglierlo, in un programma di cambiamento, quale solleciterebbe?
Inviterei i partiti a riprendere in mano nella loro agenda quello stato sociale che in questi ultimi quarant’anni è stato scardinato e che ha messo ai margini settori sempre più ampi di popolazione. Questo crea conflitti sociali che possiamo risolvere soltanto se ripartiamo da questa parte della popolazione più in difficoltà e che ha bisogno di essere rimessa in piedi per poter camminare con tutti. Credo che questo dovrebbe essere un punto qualificante nel programma di tutti i partiti, che ha anche una prospettiva. Una prospettiva inclusiva. Noi del Centro Astalli ci occupiamo di rifugiati e di migranti. Loro hanno il problema della salute, il problema del lavoro, il problema della casa. Problemi che sono trasversali a tutti. Se si mette mano alla dimensione sociale, allo stato sociale, si fa un’azione inclusiva riguardo a quella popolazione migrante che arriva nel nostro Paese e che, se le cose restano come sono, rischia di restare ai margini.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.