di Alessandro Butticé e Pierpaolo Rossi – In un nostro articolo del 25 aprile avevamo riconosciuto il merito della Cancelliera tedesca Angela Merkel per lo slancio non sibi che aveva dato alla Germania, nell’andare di fronte al Bundestag (il parlamento tedesco) a difendere la tesi che era nell’interesse nazionale contribuire al benessere dell’Europa in generale. E dell’Italia in particolare. Proponendo di aumentare i contributi nazionali a favore del bilancio Ue, e promuovere cosi il rilancio del Mercato Interno con fondi comuni, e permettere un sostegno comune e simmetrico dell’economia europea, non limitato alla capacità dei singoli paesi.
Avevamo anche messo in guardia sovranisti e nazionalisti nostrani dal rischio di tirare troppo la corda nelle loro invettive contro l’Europa, da loro identificata con gli interessi tedeschi. Perché i loro presunti “alleati” sovranisti e nazionalisti in Germania ed Olanda, non sono meno euroscettici di loro. Ed al grido di “prima i tedeschi!” (Deutschland über alles) e “prima gli olandesi” (hup Holland hup!), rischiano di portare l’Europa all’alba del secolo scorso. Con le drammatiche conseguenze dei nazionalismi vissute e sofferte dai nostri padri, nonni e bisnonni.
Tanto merito va confermato alla Cancelliera, quanto biasimo va però tributato alla Corte Costituzionale tedesca, con sede a Karlsruhe. La quale, con una sentenza tanto inattesa quanto clamorosa, il 5 maggio ha sferrato un pericolosissimo colpo di piccone alle basi giuridiche più profonde della Corte di giustizia dell’Unione europea, con sede a Lussemburgo (Corte Ue); il primato della sua giurisdizione sulle corti nazionali e la sua natura costituzionale. Ribellandosi alla sentenza Weiss della Corte Ue, che aveva ritenuto il programma della Bce di acquisto di attività del settore pubblico sui mercati secondari (Public Sector Purchase Programme, Pspp) legittimo e proporzionato rispetto agli obiettivi della politica monetaria affidata alla Banca centrale europea (Bce) e dunque non esorbitante dai compiti e dalle attribuzioni di quest’ultima, i giudici di Karlsruhe hanno ritenuto “incomprensibile” la sentenza della Corte Ue ed insufficiente il controllo esercitato sulla BCE.
Le prime reazioni alla sentenza, potenzialmente di vasta portata, anche in Germania rivelano una profonda spaccatura politica tra gli opposti punti di vista sull’indirizzo economico che la BCE dovrebbe seguire, che, tuttavia, non segue del tutto le linee di partito e neppure interferenze nazionali.
Da un lato, i media e i politici più conservatori o ordo-liberali, con una visione del mondo Germano-centrica, che sono sempre stati critici nei confronti delle politiche di allentamento monetario e degli acquisti di beni e delle loro conseguenze pratiche per risparmiatori, affittuari e proprietari di immobili tedeschi. Pensano che la Corte costituzionale abbia giustamente richiamato la BCE a una politica responsabile e orientata alla stabilità basata su regole. Gli stessi giudici di Karlsruhe in interviste private si dichiarano interpreti e portavoce della “maggioranza silenziosa dei risparmiatori tedeschi”.
L’altro campo sono le forze di centrosinistra e spesso anche più orientate all’Europa, che vedono la sentenza come un pericoloso attacco contro il primato del diritto dell’UE, dell’indipendenza della BCE e con ciò anche della stabilità dell’Eurozona. Si preoccupano anche per il pericoloso precedente, che questa sfida aperta all’autorità della Corte di giustizia europea potrebbe diventare per altri Stati membri, come Polonia ed Ungheria, che hanno difficoltà ad accettarlo. Numerosi commentatori tedeschi riconoscono poi che la Bce ha sollecitato i governi per molti anni ad assumersi le proprie responsabilità fiscali, i quali, invece, si sono comodamente affidati alla Banca senza prendere le decisioni necessarie.
Alcuni sollevano richieste di un maggiore impegno fiscale da parte del governo tedesco sotto forma di mutualizzazione del debito (Coronabonds, ad esempio) e emissione di obbligazioni comuni. Come conseguenza logica, se alla BCE non venisse consentito di svolgere il lavoro per combattere la crisi economica della pandemia ne risentirebbe la tenuta dell’Euro e di riflesso i risparmiatori tedeschi. Tuttavia, anche in questo caso, la giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca oppone la supremazia del proprio controllo nell’interesse preminente del contribuente tedesco che non deve essere svantaggiato dal perseguimento dell’interesse comune. La Corte tedesca deduce la supremazia della propria giurisprudenza dal principio del conferimento limitato di competenze alla Ue e quindi dalla preminenza della costituzione tedesca, tenuto conto del mandato democratico ricevuto dal popolo di cui è espressione. Tale preminenza è peraltro immutabile e resistente pure ai trattati Ue, dato lo “stato di fissità” della Costituzione, non modificabile nella sua struttura fondamentale neppure col quorum di due terzi nelle due camere del Parlamento (che sono normalmente sufficienti per le modifiche costituzionali). Questo principio democratico nella prospettiva nazionale impedirebbe la mutualizzazione del debito, poiché sarebbe contro la sovranità di bilancio del popolo tedesco. Nel caso di finanziamento del debito comune, il parlamento tedesco sarebbe infatti vincolato alle decisioni comuni prese da istituzioni sovranazionali e, sebbene in quota parte, alle responsabilità assunte da altri governi privi di controllo tedesco. Solo gli impegni che sono limitati nel tempo e nel volume, e che sono sotto lo stretto controllo del parlamento tedesco potrebbero essere accettabili, secondo la giurisprudenza della Corte. Sebbene esistano pareri dissenzienti da parte di taluni giuristi tedeschi su quali possano essere tali limiti, questa giurisprudenza della Corte ovviamente limita il campo di azione del governo, soprattutto perché la Corte di Kalsruhe non ha mai indicato chiaramente il livello di tali limiti. In una situazione così giuridicamente incerta, il governo tedesco sarà probabilmente portato a prendere una posizione più attenta nel negoziare tali impegni a livello europeo. Se non vuole correre il rischio di essere annullato dalla Corte in futuro.
Quello che è certo è che la sentenza tedesca ha provocato un grande scossone all’Europa. Molto più vigoroso, e anche più pericoloso, dei vaghi e spesso scomposti ululati alla luna di alcuni dei sovranisti e nazionalisti italiani. Mettendo direttamente a rischio la certezza del diritto Ue e indirettamente l’effettività, ed in prospettiva la stessa sopravvivenza della zona euro.
Una debolezza dimostrata dalla Corte di Karlsruhe risiede tuttavia nella sua contraddittorietà. In quanto, in sostanza, dispone di questioni sulle quali non è competente. E che per di più sono state già decise dalla Corte di Lussemburgo. Rispetto a lei suprema per quanto riguarda l’interpretazione degli atti di diritto Ue, quali le misure della Bce.
Vi sono osservatori che vorrebbero minimizzare l’impatto della sparata della Corte tedesca, rilevandone la mancanza di effetti concreti. È infatti evidente che una sentenza che ordina al proprio Governo di esigere chiarimenti dalla Bce, pena l’interruzione della partecipazione della Bundesbank (la Banca centrale tedesca) alle misure di Pspp potrebbe essere del tutto inoperante, o esporre la Germania ad una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea. Perché la Corte tedesca non può ordinare alla propria Banca centrale di disapplicare misure di Pspp, come la Bce non può accettare istruzioni dagli stati membri. In quanto contrario al diritto Ue, che comprende anche le misure della Bce e delle proprie antenne nazionali, le banche centrali. È stato anche detto che il diritto Ue non si rivolge direttamente solo ai tedeschi ma a tutti i cittadini Ue indistintamente. Non c’è un diritto speciale Ue per i tedeschi, per il quale la Corte di Karlsruhe ha competenza specifica.
Ma c’è un’insidia ben più profonda nel comportamento della Corte costituzionale tedesca. Una questione di slealtà. La Corte di Karlsruhe solo formalmente assurge al ruolo di difensore dei diritti dei tedeschi che senza il suo intervento verrebbero costretti a “finanziare” una Bce senza mandato. In questo, la Corte tedesca sbaglia una seconda volta, perché accusa la Corte di Lussemburgo di aver rinunciato a tutelare l’interesse dei cittadini tedeschi. Ma questa accusa è non soltanto falsa ma anche sleale, in quanto la giurisdizione della Corte Ue tutela maggiormente l’interesse tedesco ma attraverso il perseguimento dell’interesse comune da cui la stessa Germania dipende.
Le specifiche accuse portate alla Corte Ue sono incoerenti e ancora una volta strumentali. Ci vuole poco a scoprire che la Bce ha motivato le proprie decisioni come le impone il diritto Ue e che la Corte Ue ha ben vigilato. Ma non nell’interesse esclusivo dei tedeschi, bensì di quello dei cittadini dell’Ue in generale. Un’astuzia quindi, ma anche un vile sotterfugio, che spinge qualcuno a pensare che il vero interesse da proteggere fosse il prestigio personale dei giudici costituzionali tedeschi. Forse da troppo tempo frustrati nel loro ruolo subalterno alla Corte Ue (über alles…).
Si tratterebbe quindi, questa volta, della violazione dell’obbligo di leale collaborazione – sancito dal terzo comma dell’articolo quattro del Trattato sull’Unione – il nocciolo duro del quadro istituzionale, che i giudici di Karlsruhe sembrano calpestare maldestramente.
Significativo anche il fatto che questo svarione avvenga a pochi giorni dall’adozione, il 20 aprile scorso, della relazione annuale di un’altra Corte Costituzionale. Quella italiana. Che con la causa Costa-Enel del 1962 era stata essa stessa parte interessata della giurisprudenza fondante il primato del diritto Ue sul diritto e le corti nazionali, comprese quelle di rango costituzionale. Nella sua relazione, la Presidente della Corte costituzionale italiana, Marta Cartabia, aveva esaltato proprio quel principio di leale collaborazione istituzionale, mettendolo in rapporto con l’attuale situazione dell’emergenza pandemica, che spesso appare mettere in contrapposizione gli interessi locali con quelli del governo nazionale. Una contrapposizione solo apparente tuttavia, per la Cartabia, in quanto solo collaborando lealmente possiamo assicurare la maggiore effettività delle misure di contrasto alla pandemia. Come di quelle per il rilancio economico, o quelle per assicurare la coesione dell’area euro che la Bce ha intrapreso.
Il fatto potrebbe però far pensare che i giudici di Karlsruhe – sì, è forse il caso di parlare proprio dei singoli giudici, e non della Corte in quanto istituzione – non erano d’accordo per questioni di mero orgoglio istituzionale. Essi sembrano aver trovato il pretesto per pugnalare alle spalle i colleghi, anche tedeschi, della Corte di Lussemburgo. E ciò ha giustificato alcuni commentatori a descriverla in parte come una “guerra di giudici“. Una guerra che sarebbe però una slealtà, se provata, degna del più bieco stereotipo che i tedeschi spesso attribuiscono agli italiani. E questo episodio potrebbe insegnarci, una volta di più, quanto poco diversi siano, in fin dei conti, i tedeschi dagli italiani. Italiani che, come ricordato, devono stare tuttavia attenti a non tirare troppo la corda delle loro richieste e proteste contro un’Europa definita troppo spesso solo come matrigna e germanocentrica. Ricordando che la costruzione dell’unità europea è un’eccezione assoluta nella storia dell’umanità. Perché costruzione sovranazionale fatta nella pace, nella legalità e nel consenso. Dove si uniscono gli sforzi e dove la cessione di pezzettini di sovranità nazionale all’Unione è per ricevere altri benefici in cambio. Cessione di sovranità che l’articolo 11 della nostra Costituzione consente, in condizioni di parità con gli altri Stati. Proprio perché necessaria a costituire un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuovendo e favorendo le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo, quali appunto l’Ue.
E come dimostrato proprio dalla sentenza di Karlsruhe, l’Ue non è in mano tedesca, come tanti urlatori professionali da qualche tempo ripetono continuamente in Italia. Se servisse una prova a smentire questa narrativa, non possiamo non osservare – e con soddisfazione tutta italiana – la tempestiva presa di posizione critica non solo della Presidente francese della BCE, Christine Lagarde (sino a qualche settimana fa definita dall’opinione pubblica italiana come la serva sciocca della politica economica tedesca), ma anche, e soprattutto, quella della Presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula von der Leyen. Le quali, assieme alla Corte di giustizia Ue, hanno risposto con un sonoro schiaffo alla Corte Costituzionale tedesca. Ricordando che la sentenza pronunciata in via pregiudiziale dalla Corte Ue “vincola il giudice nazionale” per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente. Ma soprattutto che “per garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, solo la Corte di giustizia, istituita a tal fine dagli Stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione”. Perché divergenze tra i giudici degli Stati membri potrebbero compromettere l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto. Ricordando infine che, “al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali – compresi quelli costituzionali – sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, per garantire l’uguaglianza degli Stati membri nell’Unione da essi creata”.
Tale immediata presa di posizione delle tre istituzioni, ed in particolare di quella con una presidente tedesca, in attesa degli sviluppi – che non saranno brevi, e neppure semplici – hanno avuto il merito di ridare fiducia nella terzietà ed indipendenza delle Istituzioni Ue. Anche da uno stato membro forte come la Germania. Seppure col rischio di aver creato qualche mal di pancia in Germania. Dove alcuni non si attendevano una così dura e rapida reazione Ue alla sentenza di Calsruhe. Speriamo che il buonsenso prevalga. E che nell’Ue, a cominciare dalla Germania, ma anche dall’Italia, si rifugga dalla “tentazione di un nuovo tipo di nazionalismo, il fascino dell’autoritarismo, la sfiducia, l’isolazionismo e l’ostilità tra nazioni”. Come ha ricordato il 9 maggio, nel discorso per la festa dell’Europa, il Presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier: “perché l’Europa unita è nata da quel ‘mai più’ urlato alla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Che, per i tedeschi in particolare, “significa mai più soli”, assieme alla necessità di mantenere l’Europa unita e “pensare, sentire ed agire come Europei”. Perché “se l’Europa unita fallisse, anche quel ‘mai più’ sarebbe destinato a fallire”.
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