Sembra una pagina di cronaca scritta 30 o 40 anni fa e invece è successo un’altra volta, proprio in questi giorni e non in qualche angolo sperduto del mondo, ma in Italia, un grande (lo siamo ancora?) paese occidentale del G8: al liceo Tito Livio di Martina Franca (Ta), infatti, gli studenti decidono di dedicare un’assemblea studentesca all’approfondimento del tema dell’omofobia, ma la scuola “superiore”, quell’istituzione pubblica a cui spetterebbe il compito di educare i cittadini di domani, censura l’evento nascondendosi dietro il pretesto della richiesta dell’autorizzazione dei genitori. Sì perché, come riportano i media locali, secondo il dirigente scolastico del liceo è opportuno richiedere l’autorizzazione ai genitori ogni volta che si trattano argomenti sensibili o che riguardano l’articolo 3 della Costituzione. Con un eccessivo pressapochismo, però, ci si dimentica che sempre la Costituzione sancisce anche il diritto alla libertà d’espressione, nell’articolo 21, e quindi quale dei due ha la precedenza? A tale quesito il liceo Tito Livio, esprime il peggior vizio italiano, e risponde lavandosene le mani, ovvero delegando la responsabilità delle scelte ai genitori degli studenti e quindi, implicitamente, censurando quest’ultimi.
Dopo tutto il tema che gli studenti volevano affrontare riguarda proprio la storia di una ragazza, Malika, cacciata di casa perché omosessuale. Ripudiata quindi da una di quelle famiglie a cui oggi, nel 2021, il liceo Tito Livio avrebbe richiesto un ipotetico permesso per affrontare il tema dell’omofobia a scuola: chissà che cosa avrebbe risposto. Ed è proprio questo il cortocircuito che imperversa nel liceo. Gli studenti, infatti, vorrebbero affrontare quei temi che a casa, forse, non possono neppure pronunciare, ma viene loro impedito in virtù di una neutralità ipocrita delle Istituzioni che cela una mentalità patriarcale e cavernicola.
Questa mentalità retrograda dimostra in realtà, ancora una volta, la scarsa considerazione che molti “adulti” hanno sulla capacità critica e di analisi delle cose che i giovani possano avere in particolare su temi come quello dei diritti. Scetticismo sulla voglia di studiare spontanea dei giovani che ancora prospera nel 2021 e che si manifesta ogni qualvolta si affrontano certi temi. Perché nonostante la calendarizzazione del DDL Zan, questo rigurgito omofobo imperversa un po’ ovunque e casi come quello del liceo Tito Livio ce lo ricordano con precisione. Ma che fare per combatterlo? Occorre non girarsi dall’altra parte, non accettare che nel solito silenzio tutto passi, ma piuttosto rivendicare il valore laico che le istituzioni scolastiche devono (e non possono) avere, licei che devono essere luoghi di confronto aperto e trasversale proprio su quei temi che altrove, come ad esempio a casa, potrebbe essere difficile se non impossibile affrontare. D’altro canto, se si ritiene, come ha sottolineato anche Enrico Letta, che i sedicenni abbiamo la facoltà di votare, occorre anche che essi abbiano piena legittimazione almeno nel discutere dei temi di cui si interessano. Perché un sedicenne che deve scegliere un partito politico, il quale magari appoggia apertamente un’estensione dei diritti della persona, e quindi un DDL come quello Zan, deve poterne parlare e confrontarsi anche a scuola, in assemblee in cui invitare esperti e dibattere con loro. Ma forse per alcuni è più comodo che i giovani barattino le loro assemblee per feste e cazzeggi di altro genere, invece di dedicarsi a momenti di confronto e di crescita, soprattutto su temi che riguardano le libertà individuali. D’altronde, anche l’assemblea degli adulti per antonomasia, ovvero il Parlamento, rifiuta di occuparsi di questi temi che riguardano le libertà; come nel caso emblematico del fine vita. Forse una palestra scolastica che forgi giovani menti pensanti fa paura a intere generazioni che negli ultimi decenni si è concentrata nel godersi il presente, affossando il futuro riempendolo di debito pubblico e lasciando un pianeta devastato dal punto di vista ambientale.
Ed è proprio per questo che è fondamentale che i giovani studenti rivendichino, con più decisione, il diritto di smettere di “chiedere il permesso” a qualcuno per costruire i presupposti per una società, questa davvero, libera dai pregiudizi del passato. L’ordine del giorno delle assemblee è qualcosa che dovrebbe riguardare solo gli studenti e le loro associazioni interne e nessun altro. Si potrà controbattere a ciò sostenendo che così facendo si alimentino gruppi di ogni sorta, da quelli che esaltano il fascismo e l’omofobia a fenomeni che rientrano nell’ambito della cultura della cancellazione. Tuttavia, questa obiezione trascura il fatto che tali temi sono dibattuti anche nella società degli “adulti” e sui media, e che proprio per questo andrebbero affrontati con criticità ed esperti anche, direi soprattutto, a scuola, dando così più fiducia ai giovani.
La paura di confrontarsi su alcuni temi trova nella censura la difesa a una società che nasconde le sue fragilità e ipocrisie, rimandando perennemente il giorno in cui dovrà presentarsi di fronte alla verità del suo tempo. Il DDL Zan è il grido di chi, come Malika e gli studenti del Tito Livio, vorrebbero il diritto di poter esprimere sé stessi e discutere della complessità, ma si ritrova ad essere ancora schiacciato da una società che, purtroppo, preferisce tacere, lavarsi le mani, negare e girarsi dall’altra parte. Ed è proprio per tutto questo il DDL Zan deve essere sostenuto e approvato al più presto.
Francesco Caroli
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