Vietato lavorare. Vietato far sentire i propri passi. Vietato ascoltare musica. In una parola, vietato vivere. Cosa questo significhi lo sanno bene le donne afghane, che stanno rivivendo l’incubo del regime talebano.
Purtroppo la disastrosa ritirata da Kabul delle diverse forze internazionali ed il ritorno al potere dei talebani fa svanire il sogno di instaurare una democrazia in Afghanistan. Mette a rischio centinaia di migliaia di cittadini. Soprattutto donne. E mette in dubbio la credibilità dell’Occidente.
Di fronte alla gravità della situazione é necessario prodigarsi per promuovere il più possibile processi di stabilizzazione in Afghanistan. Ciò che sta facendo il Presidente Draghi, attraverso una convocazione straordinaria del G20. Che é la sede più opportuna, dato che coinvolge paesi che possono giocare un ruolo strategico.
Non solo Stati Uniti, Cina e Russia, ma anche i diversi attori regionali – Pakistan, India, Iran, Turchia e paesi centro asiatici – hanno tutto l’interesse ad evitare una degenerazione dell’area, che comporterebbe inevitabilmente una serie di problemi: il riaccendersi del rischio terrorismo, un probabile flusso incontrollato di rifugiati, il proliferare di traffici di droga.
Per questo é positivo sfruttare l’attuale presidenza italiana per un incontro ad hoc del G20, con il coinvolgimento di tutti i paesi strategici anche vicini all’Afghanistan, che possono contribuire alla riappacificazione dell’area.
Ci sono specifiche questioni da affrontare in maniera prioritaria. Il salvataggio di coloro che hanno aiutato le forze occidentali negli ultimi venti anni e che in Afghanistan sono a rischio ritorsioni, non avendo potuto essere evacuati. Bisogna tutelare i rifugiati, onde evitare una catastrofe umanitaria. Sia quelli che si trovano in Afghanistan, sia quelli che cercano rifugio nei territori limitrofi. Ed è altrettanto urgente prevedere un programma di integrazione per coloro che sono arrivati in Italia.
Purtroppo con il ritiro delle truppe occidentali un’intera generazione di afghane e di afghani, ben istruiti e moderni, è rimasta in balia dei Talebani. Giovani le cui prospettive e la cui sicurezza dipendevano dalla protezione militare della comunità internazionale. E’ nostro dovere garantire accoglienza a tutti coloro che oggi sono in pericolo di vita per il solo fatto di aver supportato negli anni passati le nostre Forze Armate, le nostre ONG, le nostre associazioni. A loro si aggiungono centinaia di migliaia di afghani che a loro volta corrono il rischio di possibili ritorsioni. Già oggi la Commissione per i rifugiati delle Nazioni Unite, UNHCR, stima che dall’inizio dell’anno mezzo milione di afghani abbia lasciato le proprie case in cerca di rifugio, all’interno del proprio paese.
Non possiamo lasciare da soli coloro che hanno avuto fiducia in noi e ci hanno aiutato. E’ necessario prevedere corridoi umanitari per mettere in salvo il maggior numero possibile di persone, concedendo loro asilo politico. Con particolare attenzione alle donne e ai minori. Serve un comitato ad hoc che sia nelle condizioni di valutare in modo oggettivo chi si trova in condizioni di maggiore pericolo.
I muri costruiti nelle scorse settimane da Turchia e Grecia e le dichiarazioni di chiusura da parte di alcuni paesi europei – Austria, Ungheria e Slovenia in testa – non possono essere la soluzione. L’Europa non può voltarsi dall’altra parte. L’Unione Europea dispone già oggi di uno strumento idoneo a far fronte all’emergenza: la direttiva sulla protezione temporanea che prevede uno status di protezione di gruppo che può essere adottato nelle situazioni di crisi. Ci sono quindi tutti i presupposti per istituire celermente dei corridoi umanitari per aiutare le persone in fuga. Così da evitare anche un altro possibile pericolo: che se ne facciano carico paesi come la Cina o la Russia, ansiose di mettere in campo politiche di soft power finalizzate a screditare l’Occidente.
Non sottovalutiamo la disponibilità di risorse dei talebani. Hanno guadagnato milioni di dollari attraverso il commercio di droghe. L’80 per cento dell’oppio ed il 90 per cento dell’eroina, a livello mondiale vengono prodotti in Afghanistan, per un valore stimato attorno ai 350 milioni di dollari annui. Ed i leader talebani sono tra i più importanti trafficanti mondiali. Dunque dispongono di enormi risorse. Che di certo non utilizzeranno a beneficio della popolazione. Mentre è plausibile che le usino per finanziare il terrorismo più violento.
Purtroppo l’Afghanistan continua ad essere un terreno molto fertile per estremisti. Il rischio é che diventi nuovamente un luogo in cui convergono terroristi da tutto il mondo con l’obiettivo di attivarsi a livello internazionale.
I talebani sono radicali sostenitori di un islam politico e continuano a coltivare rapporti con Al Qaida, contro la civiltà occidentale. Per questo, il ritorno al potere dei talebani può costituire un supporto operativo al Qaedismo.
In occasione dell’ingresso a Kabul numerosi gruppi Qaedisti, dalla Somalia alla Siria, dal Pakistan alla Turchia ad Hamas, hanno inneggiato entusiasticamente alla vittoria dei talebani. Ed anche se quello dei talebani resta un movimento nazionalista teoricamente privo di una vocazione di jihad globale, i rapporti con Al-Qaeda sono molto più stretti che in passato e lasciano temere il peggio e cioè che arrivi un nuovo Osama Bin Laden, capace di riunire forze fondamentaliste di diverse regioni e di usare l’Afghanistan per la costruzione di uno stato islamico.
È quindi urgente adottare una ferma strategia contro il terrorismo. Ne va della sicurezza dell’Italia, dell’Europa e di tutti gli Alleati. Sicurezza che deve essere al centro anche di un’altra riflessione strategica. Quella su come fare fronte alla crisi della Nato, emersa in modo eclatante in Afghanistan.
Gli Stati Uniti si sottraggono sempre di più dal ruolo di forza interventista ricoperto per decenni. E, parallelamente, questa loro scomparsa dai palcoscenici geostrategici potrebbe spingere tanti rivali, jiadisti e non, a sfidarli. Perchè il messaggio uscito da Kabul é che la principale superpotenza del mondo può essere attaccata e sconfitta. Le conseguenze di questa consapevolezza saranno pagate da tutto l’Occidente, a partire proprio dalla Nato. Del fallimento dell’Alleanza in Afghanistan approfitteranno tutte quelle forze che ritengono le democrazie occidentali un nemico. Islamisti radicali, l’Iran, la Russia, la Cina.
La caduta di Kabul ha terremotato gli equilibri di sicurezza internazionale che valevano per decenni. Lo scudo rappresentato dal vecchio atlantismo si é rotto. Servono nuove soluzioni. A partire dalla costruzione di una difesa comune Europea. Bisogna accelerare il processo di integrazione europea, non soltanto su questioni economiche, ma anche in materia di difesa e sicurezza.
L’Europa non può più permettersi di appaltare ad altri la difesa del mondo e del proprio territorio. È questa la lezione che l’Europa deve trarre dalla caduta di Kabul. È necessario che l‘UE acquisti peso e protagonismo nella politica di difesa e di sicurezza. Non per promuovere guerre e aggressioni. Ma per essere forza di pace e di stabilizzazione.
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