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Amore alla Stazione Termini

Photo Mauro Scrobogna /LaPresse
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse

Come fanno a sopravvivere coloro che hanno a che fare tutti i giorni con il dolore? Me lo chiedo quando la sera tardi, l’inverno, torno in treno alla Stazione Termini di Roma e vedo uomini e donne accampati, con vecchie coperte sudice sulle spalle.

È una visione che suscita in me imbarazzo, non paura. Sono in imbarazzo perché tiro dritto; sono in imbarazzo perché non saprei cosa fare per aiutarli; sono in imbarazzo perché, proprio per il fatto di essere in imbarazzo, non li degno nemmeno di uno sguardo, tanto meno di un sorriso. Una volta ho letto che, quando incontri gli occhi di un bisognoso, guardi gli occhi di Dio. Credo che questo concetto colpisca anche chi non è credente. Lo scambio di sguardi con la sofferenza ti mette di fronte ai tuoi limiti e crea un varco in quel muro dell’indifferenza che, da una parte ti protegge e ti fa andare avanti, dall’altra ti indurisce e ti fa ammalare di cinismo.

Per la testata PRIMOPIANOSCALAc abbiamo affrontato questo argomento in un’intervista con padre Carlos Luis Suárez, Superiore Generale della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù. Padre Carlos ha girato il mondo e ha incontrato la disperazione e la miseria. La sua vita e la sua vocazione sono alimentate dall’amore gratuito, quello che non chiede nulla in cambio: “Se intendiamo la vita in questo modo, essa non potrà che essere un dono permanente. E gli innamorati lo sanno bene.  Sta qui la chiave di ogni vocazione, e ancor più della vocazione cristiana in ogni sua manifestazione. La vocazione è un tema da innamorati”. L’amore è vaccino e cura del cinismo e del disfattismo. E non serve essere cristiani per saperlo.