L’emergenza sanitaria, sociale ed economica causata dal virus Covid-19 non ha precedenti nella storia recente del nostro paese. Gestire un fenomeno così complesso, in uno scenario praticamente inedito, non sarebbe semplice per nessuno.
Fatta questa necessaria premessa, tre settimane dopo il decreto (DPCM 8 marzo 2020) con cui il Governo dichiarava la Lombardia e 14 province italiane “zona rossa”, è possibile trarre un primo parziale bilancio sulla gestione dell’emergenza.
Il Governo Conte ha certamente provato a mettere in atto diversi provvedimenti per affrontare l’emergenza sanitaria. Parallelamente, ha cominciato a pensare e attuare anche quelli per sostenere il sistema economico, sia nell’immediato che in ottica futura.
I contenuti e le modalità dell’azione di Governo, tuttavia, sono stati quantomeno discutibili, evidenziando diverse falle all’interno dell’esecutivo.
Il primo incidente, facilmente evitabile, si è verificato con la fuga di notizie immediatamente precedente al decreto dell’8 marzo.
Quanto accaduto quella sera ha generato una fuga incontrollata dalla Lombardia al Sud. Questo ha rischiato di vanificare l’efficacia delle misure previste (e in parte lo ha fatto) e di provocare incidenti che solo il caso ha evitato.
La seconda inefficienza nell’azione governativa si è riscontrata nei tempi e nei modi dell’emanazione dei provvedimenti.
I decreti, oggettivamente, sono giunti sempre con qualche giorno di ritardo rispetto alle richieste degli enti locali più interessati dalla crisi, di alcuni degli alleati di governo e delle opposizioni.
Le raccomandazioni di molti scienziati, tra cui il virologo Roberto Burioni, giunte in largo anticipo, sono rimaste inascoltate.
Inoltre, l’emanazione di tre decreti in quattro giorni tra l’8 e l’11 marzo, di cui uno a notte fonda, non ha certamente aiutato.
Successivamente, solo il 20 marzo, il governo ha posto rimedio a una mancanza che, anche grazie all’azione autonoma e previdente di alcune amministrazioni locali, era passata inosservata a molti compreso il sottoscritto.
Solo in quella data e con colpevole ritardo, infatti, con un’apposita ordinanza del Ministero della Salute il Governo ha deciso di vietare l’accesso pubblico a parchi, ville, aree gioco e giardini pubblici e di svolgere attività ricreative all’aperto.
Il 21 marzo ha rappresentato un altro snodo importante dell’emergenza: in serata Conte ha annunciato l’ennesima comunicazione con “alcuni importanti aggiornamenti”. Nuovamente di sabato sera e con una diretta sulla sua pagina Facebook, una formula ormai consolidata.
Nonostante l’orario non particolarmente felice delle 22:45, la Presidenza e il suo staff ci hanno poi messo del loro, con un ritardo di diverse decine di minuti e contribuendo cosi ad acuire il pathos, per dirla con un eufemismo, del momento.
Durante la diretta Conte ha annunciato un nuovo DPCM che stabiliva lo stop di tutte le attività economiche, comprese quelle produttive, ritenute non essenziali.
Tuttavia, anche a un occhio non particolarmente attento, è stato subito chiaro che le informazioni mancanti erano molte: l’indicazione del giorno di decorrenza del nuovo provvedimento, l’elenco puntuale delle attività considerate essenziali, le ragioni che hanno motivato la nuova stretta e i dati sull’efficacia (o meglio, a quel punto, dell’inefficacia) delle azioni intraprese fino a quel momento.
Qualche minuto dopo la diretta avremmo poi appreso che, oltre a tutto questo, mancava anche il DPCM stesso.
Il decreto è stato firmato il giorno seguente con decorrenza dal 23 marzo, ma con il 25 marzo termine ultimo per la sospensione delle attività.
A fronte di questo, rimane quindi poco comprensibile la scelta di una comunicazione annunciata all’ultimo e in tarda serata come quella di sabato scorso.
Il succedersi di provvedimenti progressivamente più stringenti e rigorosi, ma così ravvicinati nel tempo, ha dato un’immagine di un Governo quantomeno restio a prendere fin da subito decisioni ferme e a rischio di impopolarità.
La loro forma non era chiara in tutti i passaggi, né accompagnata fin da subito da comunicazioni di supporto. I contenuti, inoltre, erano talvolta privi di informazioni essenziali. Questo non ha aiutato i cittadini e gli enti locali nella corretta interpretazione e nel rispetto delle norme.
Tutto ciò ha purtroppo contribuito a non trasmettere quell’immagine di stabilità e controllo necessari in una situazione di emergenza.
Anche dal punto di vista della comunicazione da parte della Presidenza del Consiglio si possono fare molti rilievi, sia nel merito che nel metodo.
L’assoluta personalizzazione della gestione dell’emergenza da parte del PdC e del suo staff è apparsa evidente.
L’abuso della parola “io” al posto del “noi” in tutte le comunicazioni ufficiali e la scelta di presentare gli ultimi provvedimenti dall’ufficio del PdC e non in sala stampa, con annessa diretta FB e senza alcuna possibilità di interazione da parte dei giornalisti, lo testimoniano.
La mancata nomina di un commissario straordinario per la gestione dell’emergenza avvalora questa tesi.
Conte e il suo entourage hanno scelto di accentrare la gestione della crisi sulla persona stessa del premier, non solo dal punto di vista comunicativo.
La nomina tardiva di Domenico Arcuri a commissario per la gestione dell’approvvigionamento di dispositivi medicali e DPI, ne è l’ulteriore conferma.
Non si è scelto un profilo “alla Bertolaso”, invocato da più parti e con poteri straordinari su tutti i fronti dell’emergenza. Si è preferita una figura più operativa e con un raggio di azione piuttosto limitato.
Se a tutto questo si aggiunge che la prima informativa di Conte al Parlamento è avvenuta solo il 25 marzo, dopo settimane di sostanziale sospensione del rapporto formale tra Governo e le camere, fulcro di una democrazia parlamentare come la nostra, il quadro che si delinea non è propriamente roseo.
Il bilancio che possiamo trarre da queste settimane di emergenza appare quindi abbastanza scontato, ma non per questo meno degno di nota. La situazione straordinaria e inedita ha messo in luce i difetti di un Governo e di un Presidente anch’essi inediti.
Tuttavia, in questo momento particolare, la necessità di coesione e unità nazionali dovrebbero prevalere (talvolta davvero a fatica) su ogni analisi o critica politica.
Una volta usciti dalla crisi, avremo certamente il tempo e il modo di trarre tutte le conclusioni del caso.
Oggi possiamo solo sperare che le misure di istituzioni e aziende dimostrino la loro efficacia, indipendentemente dagli autori, dal merito e dal metodo delle stesse.
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