Se provassimo a fare il gioco nomi, cose, città aggiungendo però per ipotesi l’inedita colonna “politica” ci sarebbe da divertirsi soprattutto estraendo la lettera D. Anzitutto avremmo le risposte facili: il nome (Davide), la città (Domodossola), il frutto (Datteri) o l’animale (Daino) ma poi arriva il bello.
Che mettiamo – a questo punto- alla categoria politica? D come?
A qualcuno verrebbe in mente la parola “Delirio” pensando probabilmente ad un quinto del paese (20-22%) che manifesta un atteggiamento ostinato, tignoso e oppositivo per l’atteggiamento dei restanti 4/5. Un pezzo di paese dormiente quando ci siamo rintanati dentro casa l’anno scorso ma poi emerso in tutto il suo coraggio reazionario anti-sistema quando si è trattato di fare la propria parte per riaprire. Un classico del paraculismo italico, una porzione (piccola) di paese che insieme agli altri – forse – cantava sui balconi al grido di #andratuttobene (sottinteso #coldidietrodeglialtri). Quelli che D come Delirio in queste settimane dicono convintamente NO al vaccino (gratis) preferendo il tampone (pagato dagli altri ). Sono dubbiosissimi e scettici sui sieri sottoposti a certificazioni internazionali di FDA-EMA già inoculati su milioni di persone, ma si dichiarano sicurissimi dell’efficacia dell’automedicazione con principi attivi (tra questi un antiparassitario per cavalli) ancora non supportati da studi analitici. E la mente va all’ex presidente americano Donald Trump che consigliava di iniettarsi in vena direttamente l’amuchina durante una conferenza stampa di fronte al capo della commissione medica della Casa Bianca, Deborah Birx, ancora sotto shock da allora. Viva il libero pensiero ma se non è delirio questo, cos’altro sentiremo prossimamente?
Ad altri verrebbe un’altra e più emblematica parola poco declinata in politica ed è Decisione: una categoria dell’umano e del sociale che una certa vulgata vorrebbe contrapposta alla D di Democrazia, come fosse antitetica. Una politica decidente è un tema discusso in questi anni ma “distratto” dall’equivoco di fondo per cui l’agire è l’opposto del consultare e del discutere. Non è così, piuttosto è accaduto il contrario: sono anni che si parla e basta, che al tanto fumo non corrisponde l’arrosto, che si promette a basso costo sparando sciocchezze a caso. Di conseguenza, per i cittadini è naturale pensare che non accade nulla di quanto detto nella realtà dei fatti.
Gli esempi sono già entrati nella letteratura politica (e mitologica) degli ultimi anni: Dalla mai nata rivoluzione liberale alla la riforma sciagurata dei poteri regionali passando per la fine della povertà, l’abolizione delle accise sui carburanti, al sovranismo di mattina e all’europeismo di sera. Un cumulo di totem che si declamano tanto nessuno chiede il conto di nulla. Lecito fino a quando non ti arriva la pandemia che ti squaderna i piani e che ti obbliga al principio di realtà. Siamo in un tempo di pandemia e – ci risulta – fino al 31 dicembre di quest’anno l’Italia mantiene uno stato di emergenza, una parentesi di straordinarietà votata dal Parlamento e tuttora in vigore. Pertanto il governo deve (non può) declinare il mandato a decidere norme di contrasto contro la diffusione del covid, a meno che il parlamento non stabilisca la fine di questa fase togliendo la fiducia all’esecutivo. E i cittadini – come lo fu per il lockdown, i vari dpcm, le aperture, le fasce di rischio delle regioni eccetera – hanno rispettato le regole.
Con il governo Draghi, ad aprile, è norma ordinaria (Legge 76/2021) l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari come logica principio di attenzione nell’esercizio della professione medica ed infermieristica. Non fa una piega sapere che gli operatori chiamati a curare i pazienti non siano – anche inconsapevolmente – vettori della malattia. Come legittimo, ci si è indignati con qualche qualche gne-gne sui talk ma le lacrime sono durate, per l’appunto, il tempo di un talk. Successivamente si è passati al green pass e anche qui una telenovela dell’assurdo col paradosso per cui mentre la gente continuava a vaccinarsi, l’urlo dei reazionari alla dittatura si faceva sempre più grottesco. E – di estensione in estensione – giungiamo all’obbligo lasciapassare per il comparto scuola (oltre 90 per cento di lavoratori vaccinati) fino a tutto il mondo dei lavoratori pubblici e privati. Il risultato è che nonostante ore di discussioni inutili – e di cortei farneticanti o di convegni ippocratici a base di cure alternative senza responsabilità di chi le propone (fenomeni no?) – i cittadini ad un certo punto rispettano le decisioni prese.
Incentivo dittatoriale? Sopraffazione dei poteri forti? Carcerazioni di massa? Non mi pare. Ci sono milioni di italiani con 5G improbabili sul corpo? Microchip e magneti sul braccio? Niente di tutto ma semplicemente il rispetto delle regole. Sembra assurdo ma nel nostro paese una volta tanto decidere non lede nessun diritto fondamentale delle persone, con buona pace di chi continua a stracciarsi le vesti. Decisione e Democrazia non sono – come una certa vulgata vorrebbe far passare – categorie antitetiche ma possono coesistere ed integrarsi se ordinate sempre al bene comune.
Tutto il diritto di critica sia chiaro, ma vanno veicolati argomenti costruttivi per il dibattito nell’opinione pubblica evitando magari il cortocircuito di questi mesi dove si sono raggiunte vette altissime di non-sense frutto di ignoranza grassa ed insopportabile in materia scientifica ( non a caso 6 studenti su 10 vanno malissimo in matematica, fisica e scienze) a cui aggiungere la disinvoltura cazzara nello spacciare le proprie opinioni (legittime ma relative) per verità mediche.
Un atteggiamento che non ho paura a definire criminogeno specialmente se si tratta della salute dei cittadini; perchè va bene tutto ma nella gerarchia del tuttologismo essere immunologi o virologi un tanto al chilo è più pericoloso (direi criminale) che sentirsi economisti di giornata o commissari tecnici post partita.
Non credete?
Ciò detto, la politica si è trovata dinanzi ad una scelta “di campo” ineluttabile: stare dalla parte dei fatti e non accarezzare il pelo alle opinioni, applicando perciò il fattore D, il fattore decidente.
Decidere non è arbitrio dittatoriale quando è in gioco la pelle dei cittadini. Decidere quindi è democratico, contro i democratici di maniera. Decidere (nella lotta la Covid) è non mettere etichette elettorali, non è di destra nè di sinistra e nemmeno pentastellato. Decidere è esercizio gravoso di offrire una traiettoria di azioni che valgono per i molti tendendo a coinvolgere tutti.
E le minoranze – quando il prezzo è la salute collettiva – si rispettano ma non possono sostituirsi alla maggioranza.
Le minoranze semplicemente si adeguano.
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