Viviamo in un’epoca in cui la storia procede veloce. Nel nostro paese, poi, scorre velocissima. Se ci aggiungiamo che gli Italiani non sono certamente un popolo dotato di grande memoria storica, il rischio è quasi sempre quello di non valutare criticamente i fatti a posteriori, ma di trattarli solo e superficialmente mentre accadono, con un approccio, tipicamente nostrano, parziale e fazioso.
BREVE STORIA DI UNA CRISI DI GOVERNO
Il 26 gennaio 2021 si è consumato uno dei passaggi a mio parere più importanti nella storia delle nostre istituzioni. Quel giorno, infatti, con le dimissioni del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si è ristabilito un principio, sacro, di democrazia.
Unico responsabile della fine del Governo Conte II, infatti, è stato un piccolo partito accreditato di un consenso del 2% dai principali sondaggisti nazionali. Determinanti in questo passaggio sono stata indubbiamente la ferma determinazione del suo leader, Matteo Renzi, e la compattezza del suo gruppo dirigente.
Ma cosa c’è di straordinario in tutto questo? Nella Prima Repubblica i governi cadevano frequentemente e con facilità, per mano di partiti anche più piccoli. Ugo La Malfa, con l’1% del suo PRI, fu uno degli esempi più eclatanti in questo senso.
La vera differenza, questa volta, è da ricercarsi nel motivo della crisi. Italia Viva aveva 2 Ministeri (con Teresa Bellanova ed Elena Bonetti) e un Sottosegretariato (con Ivan Scalfarotto). Con il peso della sua delegazione al Senato, inoltre, era determinante per la tenuta della maggioranza. Grazie a questo, il potere negoziale del partito di Renzi era molto più ampio rispetto alla forza derivante dal consenso del paese nei suoi confronti.
Eppure, nonostante questa indiscussa posizione di forza, che spesso si è tradotta in risultati concreti nel merito di alcuni provvedimenti adottati dal Governo Conte bis, Italia Viva ha deciso di rompere.
IV ha deciso di far dimettere i suoi rappresentati al governo e di non confermare la fiducia al Governo. Ha rinunciato così a poltrone e potere, in virtù di un principio superiore: il principio della politica.
La politica, quella seria, è fare l’interesse del paese e dei suoi cittadini, anche se questa non dovesse coincidere con la volontà popolare. Per fortuna siamo una democrazia rappresentativa, non una “popolocrazia” fondata su un referendum permanente in stile Soviet.
La politica, quella fatta bene e “nell’esclusivo interesse della nazione” (espressione che si ritrova nel giuramento dei Ministri), prevede anche la possibilità di far saltare un governo nel bel mezzo di una pandemia. Soprattutto se quel Governo si dimostra completamente inadeguato alla gestione di una situazione straordinaria come quella che abbiamo vissuto e da cui stiamo cominciando a uscire.
C’è stata anche un questione di antipatie e rivalità tra personalità tendenzialmente istrioniche? Probabilmente sì. Ma in questo caso la forma non è rilevante, è la sostanza quella che conta.
IL RUOLO DETERMINANTE DEL PRESIDENTE MATTARELLA
Non si può e non si deve certamente dimenticare l’altro eccellente protagonista di questa vicenda: il Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella si è dimostrato, per l’ennesima volta, un uomo di Stato di caratura straordinaria.
La determinazione, il tempismo, la decisione con cui ha gestito quella fase delicatissima sono già storia. E hanno reso l’attuale Presidente della Repubblica uno dei migliori che il nostro paese abbia mai avuto.
Di Mattarella conoscevamo il piglio fortemente istituzionale, l’eleganza e la forza gentile della sua mitezza. Forse in questo caso è stato anche in grado di sorprenderci, mostrando una fermezza inedita, ma quanto mai necessaria.
Il 2 febbraio 2021, la decisione del Presidente della Repubblica di convocare, il giorno seguente, Mario Draghi al Quirinale è stata il coronamento di un settennato esemplare.
LA SVOLTA RAPPRESENTATA DAL GOVERNO DRAGHI
Non c’è bisogno di essere un ultras renziano o un’attivista di Italia Viva per ammettere che quest’operazione, per alcuni “di palazzo”, per altri squisitamente parlamentare (in un sistema istituzionale che si fonda sulla centralità del Parlamento) ci abbia dato un governo migliore.
Forse non un Governo dei (soli) migliori, sebbene presieduto da chi probabilmente è il migliore, visto che conserva alcuni elementi che non hanno certamente brillato nel governo precedente.
Un Governo, però, che è stato in grado, in pochi mesi, di ristabilire l’ordine naturale delle cose. Il primato della politica sul populismo, quello della scienza sulla demagogia e quello della competenze sull’appartenenza politica.
Un Governo con un Presidente del Consiglio che è stato capace di rendere nuovamente l’Italia un interlocutore credibile e forte in Europa e nel mondo, probabilmente come mai in passato.
Mario Draghi e il suo Governo hanno costituito una svolta positiva innegabile per il nostro paese.
La scelta di affidare la campagna di vaccinazione al Generale Figliuolo ha generato un netto cambio di passo rispetto alla precedente gestione fallimentare del commissario Arcuri.
Dalle primule e gli spot emozionali in stile cinematografico al record di vaccinazioni in un solo giorno (600.000) di giugno il passaggio è sembrato semplice e banale. Ma non lo è stato. La sostituzione di Borrelli, altro uomo di Conte, con Curcio a capo della Protezione Civile, ha contribuito ulteriormente ai progressi nella gestione dell’emergenza.
Dalle dirette Facebook, iniziate appositamente in ritardo per aumentare la suspense (e i follower) e le (non) conferenze stampa in assenza di giornalisti, convocate in giorni e orari improbabili per esasperare ulteriormente la gravità di una situazione già molto critica e nelle quali si susseguivano i vari “stiamo decidendo” o “è un argomento all’attenzione del Consiglio dei ministri” e altre espressioni prive di un vero significato, siamo passati a vere conferenze stampa asciutte e trasparenti e, soprattutto, a fatti concreti.
Alla vacuità di discorsi lunghi decine di minuti e privi di contraddittorio si è sostituito l’operoso silenzio dei primi giorni del Governo Draghi. Ad esso sono poi seguite prese di posizione nette e inequivocabili, in vari settori.
La nomina di ministri tecnici come Vittorio Colao, Roberto Cingolani, Marta Cartabia, Daniele Franco, per citarne alcuni, rappresenta una cesura netta con il passato recente. Le loro illustri competenze, maturate in aziende e istituzioni della società civile, saranno preziosissime nell’attuazione del PNRR.
Il PNRR, il piano più importante che l’Italia si troverà a implementare nei prossimi anni, è stato esso stesso determinante nel superamento del Governo Conte. L’ipotesi originaria di allocazione dei fondi UE, infatti, a causa del suo pressapochismo e della sua insensatezza aveva fatto storcere il naso a molti, anche tra chi, nel momento decisivo, si ostinava a ripetere “o Conte o voto“.
“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” faceva dire Manzoni a Don Abbondio ne “I promessi sposi”. Non c’è concetto più calzante in questo caso. Nel momento del redde rationem è stato quel manipolo di parlamentari coraggiosi, di cui abbiamo detto sopra, a prendere la situazione in mano e a porre fine a una farsa grottesca e pericolosa.
Grazie a loro, oggi, possiamo dire che sì, ne valeva la pena.
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