L’attività di lobby e la comunicazione sono parenti stretti? Dopo anni e anni di lavoro in questo settore, penso che possiamo definirle al massino cugine di secondo grado, niente di più. Però grazie alle interviste della serie Lobby Non Olet di Telos A&S, ho avuto modo di scoprire dai miei colleghi lobbisti che sono tra le poche a pensarla così. Effettivamente in molte aziende la direzione comunicazione e quella degli affari istituzionali (leggi lobbying) fanno capo allo stesso responsabile. Così come in molti studi professionali o agenzie, si unisce l’attività di public affairs con l’ufficio stampa. Il concetto non è di per sé sbagliato, se lo interpretiamo con le parole di Paolo Lanzoni, coordinatore ufficio stampa di Sace, che questo mese abbiamo intervistato per la rubrica di Telos A&S Lobby Non Olet.
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“C’è una relazione molto forte, a mio avviso, fra comunicazione e lobby. Perché innanzitutto come comunicatore porto avanti i miei interessi e, quindi, è evidente che la comunicazione possa giocare un ruolo. Un ruolo che deve aiutare l’attività di lobby. Questo lavoro deve essere fatto con competenza, trasparenza, semplicità. Bisogna essere in grado di semplificare interessi e argomenti complessi”.
Sono d’accordissimo con questo approccio. Il lobbista, come il comunicatore, deve essere in grado di semplificare temi complessi, di andare al cuore del problema e presentare al decisore pubblico una soluzione concreta che riassuma l’interesse generale. Continuo tuttavia a essere perplessa quando viene evocata la similitudine con la pallavolo e il rapporto tra l’alzatore e il battitore. Secondo questo paragone, la comunicazione dovrebbe “sollevare” il tema, mentre il lobbying dovrebbe segnare il punto, ottenendo il risultato. Un parallelismo che non mi convince. Mi spiego. Nella maggior parte dei casi i temi dei quali si occupano i lobbisti sono così tremendamente tecnici e orrendamente cavillosi da non suscitare alcun l’interesse mediatico. Questo, nei fatti, porta il nostro lavoro molto lontano dai riflettori.
È diverso se parliamo invece delle politiche di un Paese. Naturalmente la mobilitazione di piazza – raccontata e/o sollevata dai media, dagli opinion leader e dagli influencer del web – può fare la differenza nell’orientamento del decisore pubblico. Mi riferisco, ad esempio, alle manifestazioni dei fridays for future. Questi movimenti possono effettivamente cambiare le cose. Detto questo mi ritiro in buon ordine e ritorno ai cavilli della lobbista, nella mia stanzetta con il divano a fiori. Lontano dai clamori mediatici che leggo sul giornale.
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