Il vero giardiniere – ha scritto il drammaturgo Ceco Karel Capek – non coltiva fiori ma nutre il suolo; il suo occhio non si arresta alla superficie come uno spettatore ma s’immerge in profondità a controllare la fertilità del terreno. L’esatto contrario del terreno buono è il fango dove è facile annaspare e rimanere immobili.
E dalla “palude fangosa” che prende avvio il saggio di Rossana Titone dal titolo “Democrazia in bilico” edito da Pluriversum Edizioni : un intenso viaggio – nello spazio di un diario minimo – dentro un paese in discernimento sempre sul filo (anzi in bilico) del “vorrei ma non posso” o – specularmente – del “potrei ma non voglio” a seconda del proprio punto di vista.
Di certo è che questo libro è autentico, scritto per anime inquiete nel senso che Agostino d’Ippona intende dare al termine, ovvero non lasciarsi annichilire dalla limitatezza di sé ma assumerla per superare i momenti di crisi.
Ed è un saggio dedicato quindi a coloro che sentono il disagio del tempo presente e sono vulnerabili ed incapaci di curare le ferite, atterrite dallo sconforto. E’ quel famoso spettro della paura che apre il romanzo di Joanna Bourke, cioè uno spirito in scala di grigi che si aggira anche in forme sofisticate alimentato da un futuro incerto e complesso nel quale l’interdipendenza dei fatti e delle società hanno letteralmente terrorizzato i cittadini. Ma nella selva dei tempi “globali” va messa a terra una sorta di pietra angolare sulla quale costruire una democrazia della possibilità, un orizzonte di fiducia.
Si può dire – parafrasando Renato Zero – che la globalizzazione no, non l’avevamo considerata e tuttavia l’autrice ne coglie tutti gli aspetti problematici (anche nei dettagli della sua vita quotidiana) concentrandosi su una sorta di terapia del linguaggio: le parole diventano terapia. la terapia diventa cura e la cura ti mette in piedi.
Il saggio insiste – con una prosa apparentemente istantanea invece molto pensata e pesata -sul tema dell’essere politico (più che del fare politica) affinché si possa costruire una nuova classe dirigente all’altezza dei tempi e per contrastare i populismi e i qualunquismi inadeguati alle questioni di stretta attualità come il contrasto all’odio sociale, la tutela delle diversità, il cambio di passo autentico delle politiche migratorie, la crescita culturale ed economica strutturale, la cura delle nuove generazioni.
Su un punto trovo l’analisi di Rossana Titone si fa sferzante come giusto che sia: per un “politichina” nutrita a pane e supponenza che tende ad arrivare a qualunque costo (un Whatever it takes al negativo, costruito su basi rovesciate), l’autrice stabilisce una distinzione e non una sovrapposizione tra coscienza politica di tutti i cittadini ed esercizio del governo che – non si offendano alcuni – non è per tutti. Come per tutti i lavori, essa richiede un cammino graduale, un cursus dall’ambito locale a quello nazionale, studio, analisi dei bisogni ascoltando le persone e far accadere quando si promette.
Contro la riduzione della complessità a gossip, il libro sa volare senza distogliere lo sguardo a quanto accade sulla terra, gli occhi non si accecano alla visione estatica dei massimi sistemi ma leggono la realtà attraverso momenti inaspettati ai più, come passeggiando con il fidato Parker o alla luce di un gag, in una mattinata come tante, davanti a una friggitoria palermitana… ma non posso svelarvi di più.
Per scoprire tutto il resto, leggetevi questo bel libro: il diario verace di una giornalista che non si rassegna a vivere in un’Italia nella palude.
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