Che ci fosse una grande questione relativa alle vaccinazioni in Italia è emerso fin dalla scorsa estate, quando il siero anti-Covid non era stato ancora scoperto e si era nelle fasi sperimentali. Come dimenticare, per esempio, i dibattiti sulle difficoltà paventate e previste per tenere insieme eventualmente le due vaccinazioni, quella influenzale e quella per il Covid-19, che avrebbe rischiato di compromettere gli esiti di quest’ultima?
Problemi logistici di distribuzione, mancato coinvolgimento dei medici di famiglia, carenza di forniture dei vaccini stessi e necessità di approvvigionarsi all’estero. Tutto era stato prefigurato. Eppure, di fronte alla chiarezza dei nodi, ci siamo fatti piovere addosso.
Per raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge” bisogna arrivare ad almeno 40/45 milioni di vaccinazioni antiCovid. Procedendo ai ritmi attuali, con i tre vaccini al momento disponibili (Pfizer, Moderna e Astrazeneca), il traguardo è lontano.
L’Italia ha ricevuto, finora, poco più di 5 milioni di dosi. È riuscita a inocularne scarso il 75 per cento. Siamo a 4.302.717 somministrazioni per un totale di 1.400.000 cittadini che hanno ricevuto sia la prima dose sia il richiamo. Di questo passo – è evidente – non ce la si fa.
Le varianti del virus corrono veloci mentre l’Europa e il nostro Paese sono tornati a fare i conti con le case produttrici dei vaccini che stanno disattendendo puntualmente gli impegni contrattuali assunti. La soluzione c’è ed è a portata di mano. Lo è sempre stata. Ma in molti hanno fatto finta di non vedere.
L’industria farmaceutica italiana è prima in Europa, davanti finanche al colosso tedesco. Un asset nazionale strategico che è in grado di vincere la sfida dei vaccini a patto che gliene si dia la possibilità. Sulla scorta di accordi commerciali con le multinazionali detentrici dei brevetti, sarebbe possibile da subito procedere almeno all’infialamento del siero nei nostri impianti e, contemporaneamente, avviare la riconversione degli altri per la produzione vera e propria. Mancano i “bioreattori” e la formazione del personale tecnico, è stato eccepito. Verissimo. Ma se mai si inizia, mai saremo pronti. Ci vorranno dei mesi? Ne sono passati così tanti inutilmente che, di certo, non è questo il problema.
Il dramma che stiamo vivendo ci ha fatto toccare con mano la necessità di attrezzarsi per i prossimi anni a combattere i “nemici invisibili”. L’Italia è chiamata non solo ad affrontare l’emergenza attuale ma anche ad attrezzarsi per quelle future. La produzione dei vaccini in Italia è una sfida da vincere per i nostri figli ai quali dobbiamo lasciare tutti gli strumenti possibili per fronteggiare i virus e non solo i debiti che stiamo contraendo per uscire da questa situazione.
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